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La Storia di Tommaso

Gentili Famiglie, accogliamo questa storia con grande felicità. Vi presentiamo infatti una Famiglia eccezionale, che con questa bellissima storia ci introduce al tema della tecnica F.E.T.O. in Italia. A coloro che leggeranno questa storia un solo avviso: la tecnica FETO non può ad oggi considerarsi “la soluzione definitiva” alla terribile ernia diaframmatica. E’ una possibilità di intervento, che può praticarsi ma soltanto in determinate condizioni. Parlatene con il vostro staff medico per una valutazione complessiva e rivolgetevi con fiducia ai medici che trovate citati nella testimonianza, a partire dal Prof. Mosca.

Carissimi Imma e Tommaso, grazie. Grazie per la vostra testimonianza di fede e il vostro coraggio. Tutta l’associazione Fabed vi da il benvenuto.

Tommaso…Tutti per Uno…Uno per Tutti…

“C’era una volta…”…

sì, mi piacerebbe poter cominciare a raccontarvi la nostra storia come una favola…una favola in cui c’è un mostro cattivo che si chiama CDH, due principini, due fratelli, Tommaso e Leonardo desiderosi di nascere e di crescere insieme.

Purtroppo un brutto giorno il re e la regina scoprirono che il piccolo principino Tommaso era stato colpito da un mostro cattivo chiamato CDH e rischiava di morire,ma grazie al coraggio di suo fratello Leonardo e all’arrivo di tre Maghi Buoni, il brutto mostro cattivo venne sconfitto e i due piccoli principini vissero per sempre…felici e contenti”.

E’ così che un giorno mi piacerebbe raccontare la nostra avventura ai miei piccoli,vorrei raccontarla come una favola,perché sai che alla fine arriva sempre l’happy end! Ed è in questo happy end che io mio marito abbiamo creduto e sperato fino alla fine,ed è per questo che anche noi oggi possiamo raccontare la nostra storia di vita vera, un dramma che nessuna famiglia dovrebbe mai vivere, ma che alla fine ci ha riservato il lieto fine di una favola.

Oggi è il 4 settembre 2012, a Milano fuori piove, dopo due mesi infuocati di temperature da record, i miei piccoli dormono sereni ed io ho finalmente un po’ di tempo per mettere giù la nostra testimonianza, perché è giusto condividere ed infondere un po’ di speranza in chi come noi si troverà ad affrontare il dramma della CDH, andrà sul sito della fabed, e come abbiamo fatto noi leggerà e rileggerà tutte le testimonianza,una,dieci, cento volte…per trovare un po’ di conforto, per immedesimarsi e trovare la forza di andare avanti in chi ha vissuto le stesse cose che stai vivendo tu…insomma per sentirsi meno soli!

Tornando indietro nel tempo e ripercorrendo i vari mesi mi accorgo che la nostra è stata una gravidanza piena di sorprese, alcune belle altre un po’ meno. La prima grande sorpresa fu quella di scoprire, solo al terzo mese di gravidanza, che i piccoli erano due. Ricordo ancora che in accordo con la mia ginecologa, la gentilissima Dottoressa Scarfone, io e mio marito ci recammo alla Mangiagalli di Milano per effettuare il Duo Test.

Francamente, tutto ci saremmo aspettati tranne quello che poi ci fu detto appena cominciò l’ecografia di controllo: “ Signora…ma qui sono due!” Due????? …Rimanemmo sbigottiti. Credevamo fosse uno scherzo! Possibile che fino a quel momento nei precedenti controlli non ci si fosse accorti di nulla?? Dove si nascondeva l’altro piccolo???…eppure la diagnosi fu questa: gravidanza gemellare monocoriale biamniotica; e più il dottore spiegava, più mi sembrava di essere su un altro pianeta.

La notizia, anche se sconvolgente, fu presa con grande gioia da parte nostra e di tutta la famiglia. Era la prima volta che nella famiglia sia mia che di mio marito c’erano due gemelli in arrivo! Così passammo Natale giù a Napoli…brindando e festeggiando, felici di sapere che due piccole vite stavano crescendo dentro di me, mentre tutti facevano premonizioni sul sesso e sui nomi dei cuccioli. Le settimane passavano velocemente, io mi sentivo benone e continuavo a lavorare. Sempre in accordo con la mia ginecologa, avevamo deciso di farci seguire direttamente in Mangiagalli, che ha un padiglione dedicato alle gravidanze gemellari.

Fu così che ci prenotammo per effetture l’ecografia morfologica alla fine di gennaio. Ricordo benissimo quel giorno, il 22 gennaio 2012, e mai lo dimenticherò. Sia io che mio marito eravamo molto eccitati, finalmente avremmo saputo con certezza il sesso dei bimbi, e per l’occasione erano saliti da Napoli anche i miei genitori, per poter condividere con noi quel momento così importante. Chiamarono il nostro numero ed entrammo, c’erano due dottoresse molto serie, che dopo aver visto tutta la documentazione mi invitarono ad accomadarmi sul lettino per effettuare l’ecografia. All’inizio sembrava andare tutto per il meglio, ad un certo punto però le vidi parlare silenziosamente fra di loro, con faccia seria si scambiavano frasi e pareri, ed io incominciai a capire che c’era qualcosa che non andava. Furono chiamati vari medici per confermare la diagnosi, tra cui un giovane medico, il Dott. Persico… noi ancora non lo sapevamo, ma sarebbe stato proprio lui ad avare un ruolo cruciale nella vita di nostro figlio.

Conclusa l’ecografia, ci invitarono ed entrare nella sala consulenza per comunicarci l’esito ed io purtroppo avevo intuito che c’era qualcosa che non andava. Ci dissero che uno dei due piccoli era affetto da una grave forma di ernia diaframmatica sinistra. Ci spiegarono tante cose, che solo adesso posso riportare con precisione, ma che all’epoca, credetemi, sia per me che per mio marito, erano arabo. Entrarono per la prima volta nella nostra testa concetti come: LHR, diaframma, organi erniati, percentuali di sopravvivenza del bambino, ecc…

Devo dire che i medici ebbero grande tatto nel dirci come stavano le cose, ma purtroppo la realtà dei fatti non cambiava. Il piccolo aveva un LHR pari a 0,7, molti orgnani erniati, tra cui stomaco, intestino, anse instinali, ma fortunatamente solo un lembo di fegato (questo rendeva la situazione un po’ meno grave). Ci dissero subito che allo stato dell’arte il piccolo, una volta nato, aveva circa il 15-20% di possibilità di stabilizzarsi e di affrontare l’operazione per risistemare tutti gli organi e ricostrurire il diaframma.

Ci presentarono il Prof. Torricelli, il bravissimo chirurgo pediatrico che avrebbe operato il piccolo una volta nato e con lui ci diedero tre scelte possibili: l’aborto selettivo, continuare a portare avanti la gravidanza senza fare nulla e lasciare il piccolo al suo destino, ed infine ci prospettaro la tecnica dell’occlusione tracheale denominata FETO.

Questa tecnica, tramite il posizionamento di un palloncino nella trachea del bimbo, avrebbe intrappolato un liquido aiutando la crescita del polmone controlaterale all’ernia con un conseguente aumento del valore di LHR; in questo modo le percentuali del piccolo di potersi stabilizzare ed affrontare l’operazione di chiusura del diaframma aumentava al 50/60 %. Questa tecnica prevedeva una delicatissima operazione in utero,che avrebbe potuto mettere a repentaglio l’intera gravidanza, in quanto c’era il 20% di possibilità che le acque si rompessero precocemente; ciò vuol dire che, usando questa tecnica, si sarebbe messa a rischio anche la vita del gemellino sano.

Che decisone per me e mio marito!!! La più difficile della nostra vita…la prima, vera decisone che ci coinvolgeva già come famiglia. Perché noi ci sentivamo già una famiglia di quattro componenti, ci sentivano genitori di due bellissimi bimbi, di cui erano anche già stati scelti i nomi: Tommaso e Leonardo.

Furono delle settimane molto dure ma, ci rifiutammo categoricamente di pensare all’aborto selettivo. Inizialmente pensammo che forse era il caso di lasciare le cose così come stavano, per la paura di mettere in pericolo anche la vita del bimbo sano, Leonardo, anche se questo avrebbe significato lasciare Tommaso al suo destino. Continuammo a fare i controlli settimanali regolari ed ero sempre visitata da una giovane coppia di medici fenomenali, il Dott. Nicola Persico e la Dottoressa Isa Fabietti.

Il Dott. Persico infatti era l’esperto che per primo mi spiegò e mi fece la diagnosi completa della condizione di Tommaso. Lui veniva da Londra, dove aveva fatto esperienza in uno degli unici tre centri europei dove si eseguiva la tecnica FETO. Infatti, curiosando su internet, scoprimmo che questa delicatissima tecnica veniva praticata solo in tre centri europei : Londra,Barcellona, Belgio; e che prima di quel momento, le coppie che decidevano di affrontarla venivano indirizzate direttamente in Belgio.

Il mio sarebbe stato il secondo intervento di questo tipo in Italia. Infatti mi raccontarono che il primo era stato fatto il 30 dicembre 2011, sempre in Mangiagalli; l’intervento era andato bene ed il bambino, con una severa ernia diaframmatica destra, ne aveva tratto un grosso beneficio ed aveva affrontato l’operazione, reagendo magnificamente al periodo di terapia intensiva.

Certo, la mia era una gravidanza gemellare, il che complicava notevolmente le cose, ma quel giovane dottore che aveva studiato a Londra, mi ispirava molta fiducia.

Man mano che i giorni passavano, incominciava a maturare dentro di me la convinzione che non potevo abbandonare il mio piccolo Tommaso. Dovevo fare qualcosa per lui… perchè preferire il benessere del fratello al suo?! Io non volevo scegliere tra i due. La natura era stata così infinitamente generosa da donarmi due piccole vite, entrambi erano il frutto dell’amore mio e di mio marito. Il 15% di possibilità che tutto andasse bene?! Ossia nulla!!! Tanto valeva praticare l’aborto selettivo.

Se potevo fare qualcosa per lui, dovevo farla…non potevo lasciarlo da solo ad affrontare la dura lotta tra la vita e la morte. Tutti avremmo dovuto rischiare, anche suo fratello Leonardo, e se la FETO gli avrebbe garantito più chance di vita, io, anzi noi, non potevamo tiraci indietro. La maternità è un’atto d’amore, in cui non sono ammessi egoismi ed io non sentivo dentro di me l’egoismo di diventare madre a tutti i costi, ma solo quello di portare a casa tutti e due i miei bambini, quello si. Inoltre, era meglio puntare sull’80% di possibilità che la FETO andasse bene o sul 15/20% di possibilità che il mio piccolo potesse stabilizzarsi da solo?!

E’ vero, Leonardo avrebbe corso dei pericoli, avrei potuto rompere le acque dopo due settimane, e allora a nulla sarebbe servito il palloncino ed il piccolo Leo, perfettamente sano, sarebbe nato prematuro. Ma loro erano fratelli…noi una famiglia. Io sentivo ,dentro di me, che era l’unica scelta possibile. Ne parlai con mio marito, e incredibilemente scoprii che, nonostante non ci fossimo mai confrontati apertamente, eravamo giunti entrambi alla stessa conclusione. Tommaso non poteva essere abbandonato, avrei dovuto tentare la FETO.

Forti di queste nostre motivazioni, comunicammo la nostra scelta al Dottor Persico, che ci organizzò una consulenza multidisciplinare alla quale parteciparono anche il Prof Torricelli e il bravissimo Prof Mosca, responsabile della Terapia Intensiva Neonatale, che conobbi in quell’occasione. Non fu facile far condivedere la mia decisione, ma ero molto decisa e soprattutto serena nel comunicare loro che non avrei abbandonato il mio piccolo. Loro continuavano ad espormi i rischi dell’operazione, che coinvolgeva l’intera gravidanza e soprattutto che metteva a rischio anche la vita del piccolo Leonardo, ma io parlavo con il cuore…era stata una scelta istintiva, mia e di mio marito. A quel punto non contavano le percentualì, nè tutto il resto, io sentivo che quella era la cosa giusta da fare!

Fu così che programmammo l’intervento per il 15 di Marzo, alla 27° settimana di gestazione, in modo tale che i piccoli, nella peggiore delle ipotesi, non nascessero troppo piccoli. In effetti, alla 27° settimana, i parametri ci dicevano che sia Tomamso che Leonardo pesavano già più di un chilo. Continuai a fare i controlli ed all’ambulatorio si era creato un bellissimo clima, sia con i dottori che con le ostetriche, Laura e Stefania. Nostante la criticità della situazione io cercavo sempre di affrontare tutto con il sorriso, scherzando e trovando qualcosa di divertente da dire, aiutata anche dal mio spirito napoletano.

Arrivò così il giorno dell’intervento. Ricordo ancora con quanta dolcezza mi prepararono per la sala operatoria. L’intervento si sarebbe svolto in anestesia locale, io avrei potuto vedere tutto dal monitor utilizzato per la fetoscopia, ed avrebbero addormentato anche i piccoli, per poter operare indisturbati. La sala operatoria era gremita di persone. Saranno state 30/40, tutte incuriosite dalla delicatissima operazione; c’erano tanti telefonini che riprendevano e macchine fotografiche. Io ero mezza addormentata e molto tesa, ma tutti mi sorridevano e mi tenevano la mano. Alla mia sinistra c’erano il Dott Persico e la Dottoressa Fabietti e alla mia destra il Dott Fogliani che avrebbe aiutato con l’ecografo e manualmente a far si che la posizione del piccolo fosse corretta.

Tutto ebbe inizio. Seguii sullo schermo, e mi accorsi che c’erano delle difficoltà…mi dissero soltanto dopo che il fatto che i piccoli fossero due rendeva complicato mantenere in posizione il bambino, che doveva rimanere con la bocca verso la mia pancia, ma era difficile perchè non si riusciva a far leva sulla parete dell’utero che era dura per la presenza della sacca dell’altro piccolo il che complicava ulteriormente le cose. Ad un certo punto sentii che le forze mi stavano abbandonando… avevo veramente sonno. Forse il calo di adrenalina, o forse non volevo vedere, non volevo assistere…volevo solo solo dormire e svegliarmi quando tutto sarebbe finito. Ma il Dott Persico non mollò e mi svegliai giusto in tempo per vedere inserire il palloncino nella bocca del piccolo. Sentii la fatidica frase :“Il palloncino è in sede”; e ci fu un grande applauso da parte di tutti i presenti ed io sorrisi con le lacrime agli occhi.

Il primo passo era stato fatto, ma la strada era ancora lunga…dovevo resistere, stare a riposo, per arrivare alla 34° settimana di gestazione, dopo la quale avrei subito la stessa operazione per estrarre il palloncino. Nelle settimane successive, rimasi a casa e cercai di non stressarmi troppo, di stare a riposo. I miei genitori e mia suocera si alternavano nel farmi compagnia, venendo direttamente da Napoli ogni 15 giorni, anche perchè mio marito Salvatore doveva lavorare ed io non potevo restare sola nel caso succedesse qualcosa.

Continuavo a recarmi ai controlli settimanalmente, dove verificavano che il palloncino fosse in sede e l’aumento o meno del valore di LHR, che in effetti cresceva di volta in volta. Ormai all’ambulatorio ero di casa, conoscevo tutti, erano tutti gentilissimi. Quasi mi divertivo perchè si era creata una bella sintonia, ma ammetto che nonostante la mia positività, tante volte cedevo allo sconforto, soprattutto di notte quando ascoltavo “La Notte” di Arisa e piangevo. Pensavo…” la vita può allontanarci, ma l’amore contnuerà”; io amavo così tanto i miei piccoli e avrei continuato ad amarli qualsiasi cosa sarebbe successo,ma mi faceva male non poter fare ciò che fanno tutte le mamme mentre aspettano i loro bimbi, cose semplici come preparare il corredino, la cameretta, il passeggino.

Non avevo più voglia di leggere libri o documentarmi. Avevo tante persone che mi stavano vicino, ma vedere la positività di mio marito era ciò che mi faceva stare meglio… Lui, pessimista di natura, in questo caso era icredibilmente tranquillo, quasi convinto che tutto sarebbe andato per il meglio, e così mi dava forza…non mi sarei disperata fino a quando non si fosse presentata una vera motivazione per doverlo fare.

Fu cosi che passai indenne le sei settimane.

Alla 34° settimana, i piccoli erano cresciuti parecchio e sopratutto l’LHR di Tommaso era pari a 2! Insomma, da 0,5 a 2…era un bel salto di qualità! Così, mi ricoverarono per farmi l’operazione di estrazione del palloncino, praticamente identica a quella che avevo già subito, ma con lo scopo di estrarre l’ostruzione tracheale. Il 5 maggio entrai in sala operatoria, e dopo complicate manovre sulla mia pancia, ormai enorme, per far girare il piccolo nella direzione giusta, avvenne con successo l’estrazione del palloncino. Nonostante questa seconda operazione, quando mi ritirai, mi sentivo ancora bene. Non avevo contrazioni o altro, ero solo un po’ spossata dall’anestesia e non sapevo quando avrebbero programmato il cesareo per far nascere il piccoli. In realtà, dovetti aspettare ben poco.

Il giorno dopo, il 6 maggio 2012, per sospetta infezione, mi spedirono di urgenza in sala parto per il taglio cesareo. Mi ricordo ancora che l’infermiera mi spingeva sulla sedia a rotelle ed io tenevo la mano di mio marito piangendo come una fontana. Avevo paura, i miei piccoli stavano per nascere, ma allo stesso tempo non potevo più proteggerli…il mio Tommaso stava per affrontare la sua prima lotta, quella per la sopravvivenza, ma grazie a noi avrebbe avuto qualche arma in più per poter combattere.

E così nacquero, alle 16:30 Leonardo e alle 16:31 Tommaso, rispettivamente di 2,780 kg e 2,180 kg.

Salvatore era lì fuori, fu lui a vederli per primo. Leonardo gridava come un’aquila mentre Tommaso fu subito intubato e portato in terapia intensiva neonatale. Venni poi a sapere che anche Leo era stato portato in TIN per un distress respiratorio, nulla di grave, ma comunque gli avevano messo il cpap per una ventilazione non invasiva. Mi portarono nella mia stanza, e nonostante il taglio cesareo, non vedevo l’ora di vedere i miei piccoli, ma fortunatamente c’era il loro papà con loro, che mi dava notizie in diretta. Ricordo che la notte mi svegliavo per tirarmi il latte ed alle sei del mattino chiamai in TIN per chiedere di Tommaso. Avevo il terrore che mi arrivasse una telefonata in cui mi dicevano che il piccolo non ce l’aveva fatta…una terribile paura che mi ha accompagnata per molto tempo.

Arrivò finalmente il momento del primo incontro con i miei cuccioli…ero molto emozionata, non sapevo cosa mi aspettava, ma avevo tanta voglia di vederli, anche se sapevo che purtroppo non avrei potuto stringerli a me. Mio marito mi accompagnò con la sedia a rotelle perchè ero ancora troppo dolorante per camminare da sola. Vidi prima Leonardo, nella sua culletta termica, così piccolo, era bellissimo; e poi vidi Tommaso…eccolo lì il mio cucciolo, pieno di tubicini, collegato a macchine infernali che tuttavia lo tenevano in vita. Lui era lì, completamente addormentato, nudo ed indifeso, ancora un pò sporco dopo il parto. Mi salirono le lacrime agli occhi…fino al giorno prima era al sicuro nella mia pancia, non gli mancava nulla, c’ero io a proteggerlo, e adesso, venuto al mondo, si trovava ad affrontare la sua prima durissima prova. Ma poteva contare ancora su di noi, gli saremmo stati vicino, dovevamo essere forti per lui, credere in lui…in fondo sentivo che non ci avrebbe delusi.

Il giorno dopo, la situazione, già preoccupante, di Tommaso fu complicata da una crisi per la presenza di un pneumotorace più pneumomediastino, per cui gli venne posizionato un drenaggio toracico.

Nonostante tutto, il giorno 8, la situazione del bambino era abbastanza stabile da poterlo operare, per cui la mattina presto il chirurgo venne nella mia stanza per comunicarci che in giornata avrebbero operato il piccolo. Chiamai Salvatore, che era a lavoro, e gli dissi di venire subito, inoltre mi raggiunsero i miei genitori, mia suocera, mia sorella e mio fratello. Ricordo ancora quando mia madre entrò nella stanza e mi trovò in lacrime…mai dimenticherò le sue parole: “ non ti preoccupare, tuo figlio è nato il 6 maggio, ma rinasce oggi, 8 maggio, giorno della Madonna del Rosario”.

In accordo con mio marito, decidemmo di battezzare i piccoli la mattina stessa, prima dell’operazione, ed entrambi sarebbero stati dedicati a Lei, la mamma di tutte le mamme, che ancora una volta non ci avrebbe abbandonato. Si sarebbero chiamati Tommaso Maria e Leonardo Maria.

Tommaso subì un’operazione di quattro ore. Noi rimanemmo tutti fuori alla sala ad aspettare qualche notizia. Nonostante la preoccupazione, ricordo ancora un’atmosfera quasi surreale dove non mancarono sorrisi e anche qualche risata…quasi a voler esorcizzare quel momento, per non pensare al peggio. Come si suol dire: “ridevamo per non piangere”.

Finalmente comparve il Prof Torricelli, da me soprannominato “mani di fata”, per la delicatezza e la bravura con cui aveva operato il piccolo corpicino di Tommaso. Fu, come sempre, molto umano, ma allo stesso tempo schietto. Mi disse che incredibilmente il bambino non aveva mai dato segni di cedimento durante l’operazione e che i suoi parametri vitali non erano mai scesi, ma che l’emidiaframma sinistro era praticamente inesistente ed era stato quasi integralmente ricostruito con un “patch” di Goretex. Mai, in vita sua, ne aveva applicato uno così grande! Inoltre, una volta riposizionati tutti gli organi, la pelle del piccolo risultava insufficiente per chiudere la ferita, per cui aveva dovuto inserire anche un “patch” di Permacol per richiudere l’addome. Alla fine, ci disse che certamente la nostra storia meritava un lieto fine per come era stata vissuta, ma che, purtroppo, solo se il piccolo avesse superato la famosa fase della “Luna di miele” di 15/20 giorni si sarebbe potuto dire fuori pericolo.

Fu così, che ebbe inizio la nostra terza ed ultima fase di questa avventura, la più lunga, la più faticosa; quella della Terapia Intensiva Neonatale, magistralmente diretta dal Prof. Mosca, che sempre terremo nei nostri ricordi per la sua umanità, positività e per il suo sorriso e il suo appoggio che non ci sono mai mancati.

La TIN divenne la nostra seconda casa e lo staff infermieristico pediatrico una seconda famiglia, ed affettuosamente i componenti si facevano chiamare “zii” e “zie”. Erano loro che, con professionalità e umanità, si prendevano cura del mio piccolo; non ci hanno mai fatto mancare una parola di conforto o una qualche spiegazione, quando cercavamo di capire cosa succedeva a Tommaso giorno dopo giorno.

Per il periodo che sono rimasta ricoverata , potevo accedere alla TIN notte e giorno, mentre Salvatore mi raggiungeva in pausa pranzo e dopo il lavoro. Dopo circa quindici giorni, il piccolo Leonardo stava ormai bene; era cresciuto ed aveva imparato a mangiare, per cui mi diedero il permesso di portarlo a casa.

Da una parte eravamo felici, ma dall’altra sapevamo che un pezzo del nostro cuore restava lì, ancora attaccato a tutte quelle macchine. Così, anche questa gioia ci era stata negata, non potevamo viverla fino in fondo, perchè non era completa.

Eppure, finalmente qualcosa accadde, quasi Tommaso sentisse che era arrivato il momento di darsi una mossa…suo fratello stava tornando a casa e ci voleva tornare anche lui. Infatti, quello stesso giorno, mi recai da lui e vidi che il piccolo era passato dall’assistenza ventilatoria ad alta frequenza oscillatoria a quella ventilatoria in modalità convenzionale. Ancora più bella fù la sorpresa di vederlo finalmente sveglio; avevano diminuito i sedativi e lui mi guardava con i suoi splendidi occhietti cominciandosi a muovere. Piena di gioia, feci subito un video per poterlo far vedere al suo papà che in quel momento non c’era….Fu veramente emozionante!

Il 18 maggio, il piccolo venne finalmente estubato e, piano piano, le macchine che lo tenevano in vita diminuirono sempre di più.

Passarono tre lunghi mesi, in cui sia io che Salvatore ci alternavamo per stare il più possibile in ospedale. Tutti i giorni allattavo Leonardo e mi tiravo il latte per Tommaso facendo avanti e indietro tra casa e ospedale. Era veramente dura, ma mi bastava guardarlo e tutto passava…in fondo, se il mio piccolo stava dimostrando tutta quella forza per vincere la sua battaglia, anche io avrei dovuto trovare la forza per fare tutto, sempre con il sorriso sulle labbra.

Certo, avevo sempre il timore che mi arrivasse qualche telefonata dall’ospedale, oppure, che arrivando in TIN, avrei avuto qualche brutta sorpresa; mi ricordo che ancora prima di infilarmi il camice sterile, mi affacciavo per controllare da lontano i valori sul monitor di Tommaso: la saturazione e il battito del suo cuoricino.

Ormai la strada sembrava in discesa. Il piccolo era passato dalla TIN al reparto prematuri; respirava da solo nella sua culletta ed era libero da tutti i fili, inoltre mangiava senza problemi, e nonostante il reflusso interno, non aveva mai avuto episodi di vomito. Eravamo sempre tristi quando dovevamo lasciarlo per tornare a casa, soprattutto nell’ultimo mese di degenza, perchè aveva ormai quasi tre mesi, per cui era vigile, giocava e ti seguiva con lo sguardo quando varcavi la soglia per andare via, ed è allora che, guardandolo, non avresti voluto mai lasciarlo.

Conoscemmo tanti genitori, tante mamme e papà, che, per diversi motivi, non avevavo potuto portare i loro piccoli a casa da subito, e fu bello stringere questa rete solidale condividendo quotidianamente ogni piccolo successo raggiunto dai nostri piccoli, trovare il modo di ridere e di scherzare, seppur le condizioni non fossero delle più rosee.

Finalmente, dopo tre lunghi mesi, era arrivato il grande giorno. Il 30 luglio, Tommaso fu dimesso. Eravamo tutti emozionatissimi…finalmente, i due gemellini si sarebbero incontrati per la prima volta, da quando erano stati costretti a serpararsi dopo la nascita. Tutti erano lì ad aspettarlo fuori la TIN, e fu bellissimo scattare le prime foto, vederli insieme sul tanto agognato passeggino gemellare. Erano finalemente lì, tutti e due, pronti a vivere l’uno a fianco dell’altro, come all’origine era stato deciso,come la natura e Dio ce li aveva donati. La famiglia si era finalmente riunita, eravamo NOI QUATTRO. Il nostro coraggio era stato premiato ed eravamo certi che qualcuno da lassù, ci aveva concesso questo enorme miracolo…gli occhi di nostro figlio ce lo ricorderanno per tutta la vita.

Sapete una cosa?! Oggi è il 18 dicembre…mi ci sono voluti quasi quattro mesi per scrivere la nostra storia. I piccoli sono bravissimi, ma non mi danno tregua, per cui mi sono ridotta a scrivere di notte e finalmente l’ho finita!

Perchè è giusto dare il proprio contributo e seguire l’insegnamento della FABED: “Aiutiamoci per Aiutare!”

Conclusioni e ringraziamenti

Nella vita, ci sono cose che ti colgono completamente di sorpresa. Accadimenti che ti possono stravolgere la vita, che ti colpiscono come un fulmine a ciel sereno. Un minuto prima parlavi spensierata di passeggini e cullette ed un minuto dopo ti ritrovi nello sconforto più totale, nell’agghiacciante consapevolezza che uno dei tuo bimbi potrebbe non farcela, che è praticamente spacciato, che tu lo porterai dentro di te fino alla fine e poi, una volta nato, non c’è più nulla che potrai fare per lui.

E ti domandi: “Perchè?”, “Perchè proprio a noi?”. Poi rifletti e pensi: “Ma, in fondo, perchè ad un altro? Cos’hai tu più di qualcun altro? Perchè lui e non te…” Magari è il destino, perchè colpisce un bimbo su 3000 e nella ruota della vita sei capitato proprio tu…sei tu il n° 3000!!! Oppure, credi e hai fede. Cerchi di capire il complicato disegno divino in cui è inserita la vita della tua famiglia, la vita di tuo figlio, che potrebbe nascere e morire, così in un solo momento gli avrai dato la vita e la morte. Puoi decidere di guardare avanti, ti offrono una possibiltà: la medicina, la mano dell’uomo.

I medici ti dicono che puoi dare più chance a tuo figlio, e così pensi che, forse, avendo fiducia nella mano dell’uomo e ,al contempo, affidandoti a Dio, il tuo piccolo ce la farà…

E così è stato, ci siamo affidati alla Mamma di tutte le Mamme, ma anche a Nicola Persico, un giovane medico che veniva da Londra e abbiamo creduto in lui. Perchè sapevamo che qualcuno da lassù avrebbe guidato le sue mani, come avrebbe guidato quelle del Prof. Torricelli il giorno dell’operazione, e quelle dello staff del Prof. Mosca. Perchè è GRAZIE A TUTTI LORO loro che Tommaso è vivo…noi abbiamo avuto fiducia in loro e loro non ci hanno deluso!

Grazie infinite, da una mamma ed un papà che mai dimenticheranno quello che è stato fatto per i loro piccoli, una mamma ed un papà che, in ogni loro scelta, non si sono mai sentiti soli.

Grazie a tutto lo staff medico, alla Dottoressa Isa Fabietti, al Dott Ciralli, la Dottoressa Colnaghi, alle ostetriche Laura e Stefania, alle infermiere, ai mitici Zia Polly, Zia Francesca, Zio Domenico, Zia Elisa, Zia Rosaria alle volontarie dell’Abio, e ancora, e ancora….

Grazie infinite ai miei genitori, Nonna Maria e Nonno Salvatore, e a mia suocera, Nonna Rita. Grazie a mia sorella Letizia e a mio fratello Raffaele e a mia cognata Rosaria. Ci hanno infinitamente sostenuto materialmente, ma anche e soprattutto affettivamente. Da subito, intorno al piccolo Tommaso si è creata una rete d’amore, di pensieri e preghiere. Anche se non avevi voglia di parlare, lo sentivi…l’amore intorno a noi non ci ha mai abbandonato, ed è stato quello a darci la forza di andare avanti e di crederci fino alla FINE…pronti per un nuovo INIZIO…tutti insieme…tutti e QUATTRO insieme…

Un forte abbaccio a chi leggerà questa storia. Non lo conosciamo ancora ma sappiamo quello sta vivendo…

Mamma Imma e Papà Salvatore

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