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La storia di Amerigo

“È un maschio! È un maschio!” Scriviamo compulsivamente io e Claudio nelle chat alla famiglia e agli amici, mentre beviamo un caffè e io mangio una barretta di cioccolata, aspettando che la dottoressa ci faccia rientrare. Il bambino dorme e la ginecologa ha bisogno di vederlo meglio, così ci ha detto. E ci spedisce in sala d’attesa a passeggiare e mangiare qualcosa, per svegliarlo un po’. Quando rientriamo ricomincia l’ecografia morfologica, in silenzio. Dopo qualche minuto, senza guardarci sentenzia: “c’è un problema. Sembra che il bambino abbia un’ernia diaframmatica”. Cosa? Un’ernia come? Buio. Frastornati, ci spostano nella stanza accanto. Subito un’ecografia di secondo livello e poi la spiegazione, un fiume di informazioni che ci rimbombano nella testa: la malformazione, il cuore destroposto, i polmoni schiacciati, lo stomaco, la milza, una parte di intestino e di un rene “erniati” all’interno del torace. E adesso che succede?

È il 1° di agosto 2016, di lì ad una settimana avrei fatto un’altra ecografia di secondo livello, una amniocentesi e una risonanza magnetica. Il tutto per cercare di capire al meglio le condizioni del bambino e per scoprire eventuali patologie correlate all’ernia. Il 9 agosto, quando mezza città è già in ferie, incontriamo Bruno Noccioli, primario di chirurgia dell’Ospedale pediatrico Meyer, la persona che per prima ci ha fatto vedere la nostra storia da una prospettiva diversa, dopo giorni di panico.

La situazione è grave, come negarlo. Ma è operabile. Ci sono il 75% di possibilità che vada a buon fine e che il piccolo sopravviva. Se l’operazione va bene e il bambino affronta in maniera adeguata il post operatorio sarà in grado di vivere una vita normale. Questo è quello che ci dice. Da cosa dipende il buon andamento dell’operazione? Da tanti fattori. Dal peso alla nascita del bambino, ad esempio. E dalla dimensione dell’ernia, che è quasi impossibile valutare attraverso l’ecografia. Da quel momento decidiamo che Amerigo deve avere una chance e portiamo avanti la gravidanza monitorati passo passo dalla straordinaria equipe del Meyer.

Sotto consiglio del chirurgo, del neonatologo e del mio ginecologo decido di optare per un parto naturale. Il tempo scade il 21 dicembre ma Amerigo non sembra essere intenzionato a farsi conoscere fino a quando, il giorno di Natale alle 13 mi si rompono le acque. Dopo un travaglio intenso arriva lui, alle 22:16, 55 centimetri per 3.750 kg di peso e viene trasportato sedutastante in TIN, dove viene intubato.

La mattina del 28 alle 9 il dottor Noccioli insieme al primario della Tin, Patrizio Fiorini, opera il nostro bambino e scopre che quella che sembrava un’ernia in realtà era un’agenesia parziale del diaframma (non c’era semplicemente “un buco”, ma il diaframma era assente per metà). L’operazione è difficile e lunga (ad Amerigo è stato applicato un  patch di Goretex) ma va bene.

Quelli che seguono sono 40 giorni tra i più intensi mai vissuti. Certamente tra i più educativi. Passati a fare su e giù tutti i giorni dalla terapia intensiva, a conoscere storie, persone, famiglie, infermieri e dottori in un brulicare di vita e di forza e di stupore e di coraggio che mai avrei immaginato. Una grande palestra emotiva, una grande lezione.

Oggi, dopo un secondo ricovero e un nuovo intervento che ci ha fatto preoccupare quasi più del primo, Amerigo ha quasi un anno ed è un bambino vivace, che sorride alla vita.

Io e Claudio sorridiamo ogni giorno insieme a lui. Eternamente riconoscenti per la lezione di vita venuta da un neonato ostinato, dall’associazione Fabed che ci ha supportato fin da subito e da una equipe di dottori e infermieri che sono stati per noi compagni, amici, consulenti, psicologi e non da ultimo angeli custodi, nel momento più delicato che ci sia mai capitato di affrontare.

Ludovica, Claudio e Amerigo

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