La Storia di Anita
Anita la garibaldina
Sono Daniela, mamma di Andrea , 4 anni e Anita, 22 mesi. Proprio oggi, dopo 22 mesi, trovo la forza e la lucidità di raccontare la nostra storia, o meglio la storia di Anita.
L’ho raccontata mille volte a voce ed a chiunque, ma ho sempre saputo che l’avrei scritta, certo per me, ma anche e soprattutto per tutte le altre storie lette sul sito della Fabed che mi hanno accompagnata durante la patologia di Anita.
A 29 anni nasce il mio primo bambino, Andrea: desiderato, amato, coccolatissimo. Quando arriva a 18 mesi io e mio marito sentiamo chiaramente la voglia di dargli un fratellino/sorellina e così, in men che non si dica, rimango incinta a novembre 2014. Gravidanza stupenda, come la prima: nuotavo, riuscivo a godermi Andrea, lavoravo serenamente. Desideravamo fin dalla prima volta una bimba e così la morfologica è stata senz’altro il momento più bello: sarebbe arrivata proprio una bambina. La mia bambina.
Faccio circa 5/6 ecografie in tutta la gravidanza, comprensive di bi-test, morfologica ed eco di accrescimento. Sempre tutto ok. La bimba cresce, è lunga e smilza, solo un po’ di aria nel pancino. Io non vedo l’ora di partorire, fa caldissimo ad agosto 2015 e spero tanto che sia vera la storia che il secondo figlio nasce prima della data presunta del parto. In realtà arrivo allo scadere della 39esima settimana e la sera del 20 agosto capisco che sta iniziando il mio travaglio. D’accordo con la mia ostetrica mi gestisco la situazione, vocalizzo, respiro e scrivo lettere alle mie amiche. In casa, mio marito ed Andrea dormono sereni. Alle 5 di mattina chiamo la mia ostetrica che, non appena mi visita, mi dice che è ora di andare in ospedale. Sveglio mio marito, mia suocera viene per stare con Andrea, e ce ne andiamo in ospedale, a Latina, a 20 km dalla nostra deliziosa casetta in campagna. In macchina mi innervosisco, perché sento che sto per partorire ed ho toppato sui tempi (inizialmente avevo pensato ad un parto in casa, poi avevo optato per il travaglio a casa ma parto in ospedale). Infatti arrivo al pronto soccorso alle 6:10 ed Anita nasce alle 6:40. Il parto è stato fantastico, forse troppo veloce. Mi danno Anita –con la camicia- e, nonostante pianga, la guardo e dico ad alta voce “questa bambina è triste”. L’equipe dell’ospedale e la mia ostetrica mi prendono in giro e portano Anita a lavare. Io vengo trasportata in camera ed aspetto.
Sono euforica, il parto era proprio come lo ricordavo: faticoso, ma ti regala quel senso di onnipotenza propria del dare alla luce un essere umano.
Inizio a pensare ad ogni modo possibile per uscire in giornata dall’ospedale (ho sempre odiato l’idea del parto e del purperio medicalizzati, mi ero informata sulle dimissioni anticipate per me e la mia bambina…ironia della sorte!). Alle 10 iniziano a portare i bimbi alle altre mamme in camera con me, tutti tranne lei, Anita. Vedo entrare il primario di neonatologia che si avvicina a e mi spiega che Anita dovrà essere trasportata al Bambin Gesù, potrebbe avere una lacerazione al polmone, ma non essendo sicuri preferiscono rivolgersi all’ospedale pediatrico della capitale. Sono incredula. So che il dottore non mi sta dicendo tutto e so che non saprò finché non arriverò al Bambin Gesù. Chiedo solo di poter vedere Anita e le persone che la porteranno in autoambulanza.
In poco meno di un’ora avviso mio marito e la mia famiglia, so che Andrea starà con mia madre e chiamo subito il ginecologo per ottenere veramente le dimissioni anticipate. Voglio andare assolutamente a Roma con mia figlia. Il ginecologo, visto il mio stato d’animo e i miei 10 punti, mi sconsiglia vivamente di andare, ma io sono irremovibile. Dopo aver partorito alle 6:40 firmo ed esco alle 10:10. Metto un ghiacciolo avvolto in un panno nella zona con i punti e salgo in macchina, mio marito alla giuda.
Arriviamo a Roma e già nella sala d’aspetto siamo circondati da genitori, più o meno stanchi, più o meno ottimisti, che ci accolgono in un mondo con cui faremo i conti nei giorni successivi: la TIN. Poco dopo la dottoressa Lupo e il dottor Conforti ci spiegano con dolcezza, sicurezza e professionalità cos’è l’ernia diaframmatica congenita sinistra. Ad oggi posso dirvi che il quadro clinico di Anita non era dei peggiori, ma in quel momento vedevo tutto nero. Mio marito piangeva, io ancora non capivo fino in fondo. Mi spiegano tutto quello che dovranno fare per Anita nei prossimi giorni: noi ascoltiamo attentamente, ma dovremo riascoltarlo altre mille volte per crederci veramente.
Ci fanno vedere Anita, mio marito la guarda e le parla, io sono scioccata ed ho paura. Poi la guardo, intubata e sedata. E’ bellissima. Ma ho urgente bisogno di tornare da mio figlio Andrea. Sarà, egoisticamente, la mia ancora di salvezza per tutto il tempo. Dopo il primo giorno io mi dedico anima e corpa ad Anita, non esito mai, piango raramente e trovo una forza che non credevo di avere. Lotto al fianco di mia figlia, anche se la vera battaglia è stata sempre e solo sua.
Iniziano così i 23 giorni più lunghi delle nostre vite, ogni mattina sveglia alle 6 per stare in ospedale alle 10, per entrare e uscire mille volte prima dalla tin e poi dalla chirurgia neonatale. Ed ogni sera di nuovo a casa, da Andrea di soli 2 anni e 4 mesi che all’improvviso non ha visto i suoi genitori per tutto il giorno e per più giorni. (infatti super regressioni nel fare cacca e pipì).
Anita, nata il 21 agosto, è stata operata il 23. Il buco dell’ernia, contrariamente a quanto si pensava viste le sue buone condizioni iniziali e visto che nessuno si era accorto di nulla dalle eco, era invece piuttosto grande: erano erniate intestino e milza totalmente. Anita però è tosta e determinata e dopo soli 2 giorni respira da sola. Il 29 agosto viene trasferita in chirurgia neonatale e piano piano inizia a diminuire l’alimentazione parenterale a favore del mio latte (tirato in ogni dove e tutte le santi notti ogni 3 ore). Il 4 settembre attacco per la prima volta Anita al seno e, come in seguito dirò alla fantastica psicologa dei DH, finalmente inizia il rapporto tra me e mia figlia. Il 5 settembre Anita fa un holter perché mostra leggera tachicardia, che tutt’oggi ha e che ancora non trova soluzione (è seguita ma non necessita di medicinali). Il 13 settembre, dopo 23 giorni in ospedale, Anita torna a casa con noi e conosce finalmente suo fratello.
Oggi ha 22 mesi, l’ernia diaframmatica sembra lontana, ma solo per gli altri. Io non la scordo e farò in modo che non la scordi neanche Anita.
Anita oggi è una bambina sveglia, simpatica, peperina e incredibilmente determinata. Una vera e propria garibaldina. L’allatto ancora perché io e lei ne abbiamo voglia.
All’inizio non me ne rendevo conto ma oggi lo so: l’ernia di Anita è stata un’ernia “facile”, quasi da manuale. Non posso ringraziare Dio perché non sono credente, ma so quale privilegio abbiamo avuto. So quanto siamo stati fortunati.
Concludo con due considerazioni per me necessarie: non ho mai, neanche per un attimo, pensato “perché proprio a lei”? e “mai perdere la speranza e la fiducia”.
Mai. Forza e coraggio a tutti.