Care Famiglie, oggi pubblichiamo la Storia di una Famiglia in cammino. In cammino verso la nascita del piccolo Leonardo Matthias. Una Famiglia a tratti spaventata ma tenace, che ci propone un’esperienza di grandi difficoltà già durante la fase di diagnosi della malattia. Hanno trovato la forza di affrontare le difficoltà attraverso l’Amore che hanno per il loro piccolo e hanno deciso di offrire la loro testimonianza già in questa fase del percorso. Benvenuti Asia, Christian e Leonardo Matthias, non sarete mai soli, la Fabed è con voi.

Vorrei continuare anch’io la nostra storia con “C’era una volta…” ma purtroppo non è così.

Una storia ancora non conclusa, è una storia a metà e spero che questa storia posso aiutare a trovare la forza a chi purtroppo come noi per un momento si è sentito solo e non capito.

Innanzitutto ci presentiamo ci chiamiamo Asia e Christian, abbiamo 21 e 19 anni, e la domanda che sorge spontanea “così giovani?” eh si… giovani, ma con una voglia di amare incondizionatamente qualcuno/a.  La nostra storia inizia con un po’ di problematiche, di turbolenze, perché fin dall’inizio mi avevano detto che avrei avuto problemi nell’avere una gravidanza e quindi dovevo essere operata all’utero nel mese di febbraio, era tutto programmato, tutto filava come doveva essere… fin quando arriviamo a gennaio, ho un ritardo di 10 giorni, ma lascio correre perché non c’erano speranze, però sentivo che il mio corpo cambiava in continuazione così il 26 gennaio decido di fare un test di nascosto da tutti, anche perché ero convinta che sarebbe stato negativo, invece neanche passano due secondi ecco qui due linee. Il cuore esplode, piangevo, ridevo, già immaginavo da lì in avanti, non vedevo l’ora di vederlo/a. Per la problematica feci la prima ecografia molto presto a 5 settimane per escludere una gravidanza extra uterina, e invece quasi un miracolo, si era impiantato nell’utero, però c’era un distacco. Ci dicono subito di non affezionarci troppo all’idea perché le cose non potrebbero andare bene, invece con un riposo costante, con le cure giuste e con l’amore che gli trasmettevo, PERCHÉ IO CI CREDEVO, le cose migliorarono. Tra una visita e l’altra si passavano 15 giorni, era sempre un mix di paura e di speranza, entravamo e subito si vedeva questo fagiolino che cresceva a vista d’occhio, un emozione indescrivibile…

All’inizio dei 4 mesi ci dicono che possiamo stare tranquilli, era un bambino/a che voleva vivere, usciamo da lì che piangevamo dalla felicità non ci credevamo che il nostro “miracolo” si era avverato! Arriviamo al 14 maggio, dove ci viene programmata la morfologica… non vedevamo l’ora, perché si era sempre nascosta/o e quindi ci avrebbero detto il sesso. La notte prima non avevamo dormito dall’emozione, entriamo lì dalla ginecologa e la visita inizia, sentiamo il cuore e iniziano tutte le misurazioni che servono per avere un quadro completo, da lì cambia l’atmosfera… la ginecologa si consultava con un altro dottore e non parlavano più, c’era un silenzioso assordante, ci guardavano con occhi lucidi e ci continuavano a ripetere: “stiamo controllando tutto per bene, non ci vogliamo sbagliare, dateci qualche minuto e vi spieghiamo”. Le lacrime scendevano già prima che loro iniziarono a dirci qualcosa, il pensiero che poteva esserci qualcosa che non andava era un dolore assurdo. Da lì a poco ci cade il mondo addosso, la diagnosi SOSPETTA ERNIA DIAFRAMMATICA, era un mondo che non ci apparteneva; Non sapevamo di cosa si stava parlando, che cosa avrebbe comportato e iniziano a dirci cosa sarebbe stato da lì a poco. Una paura tremenda, paura non di ciò che avremmo dovuto affrontare, ma la paura che la nostra famiglia si sarebbe spezzata. Così ci indicano di andare il giorno successivo in pronto soccorso al Policlinico Gemelli di Roma, solo li ci avrebbero dato una strada da seguire.

Il 15 maggio entro all’ospedale Gemelli. Subito mi prende in cura un equipe, non sapevo neanche il motivo, facevano ecografie su ecografie, mi spostavano da un stanza all’altra, piangevo perché avevo una paura tremenda che non ci fosse soluzione al nostro problema. Nel frattempo il piccolo dentro di me si muoveva, era un vulcano, ebbene sì, mentre facevano queste ecografie mi dissero anche il sesso (che oramai era passato in secondo piano), era un bel maschietto, vivace già da dentro alla pancia perché non stava fermo un secondo. Ci chiamano in una stanza, ci chiedono se avevamo capito la gravità della situazione perché confermano la diagnosi ernia diaframmatica lato destro, e purtroppo ci dicono anche che sarebbe stato un caso molto difficile (si presenta 1 caso su 5000 bambini mentre per il lato sinistro è 1 caso ogni 2500), un caso dove ancora ad oggi non c’erano libri di letteratura che studiavano questa malformazione, come invece per il lato sinistro. Cado in un pianto disperato, ci tenevamo la mano stretta io e Chri. Ci spostano man mano in varie stanze per parlare con diversi dottori, e ci mettono davanti anche la scelta di fermare la gravidanza. Per me li è stato un dolore atroce. Solo l’idea mi si stringeva il cuore perché io volevo sentirmi dare la cura al problema non la soluzione. Il mio bimbo dentro di me era un vulcano e io non riuscivo ad accettare una cosa del genere. Ci guardiamo e diciamo subito ai dottori “noi siamo pronti a provarci a portarla avanti, noi abbiamo una piccola speranza che ci siamo delle possibilità”, loro forse per la nostra giovane età ci guardavano con occhi sbalorditi…  Allora ci fanno un quadro completo, ci spiegano il peggio del peggio che sarebbe successo, e ci dicono che prima di fare programmi era meglio fare l’ amniocentesi. Così a distanza di 5 giorni saremmo dovuti tornare. Sono stati giorni di pianto, notti insonne, giorni infiniti, giorni in cui facevamo supposizioni senza sapere che cosa sarebbe stato, ma anche giorni di tanta speranza.  Torniamo al Policlinico Gemelli il 20 maggio, iniziano subito con una ecografia, e indovinate? Il bimbo si era messo per la prima volta in posizione podalica, questo ha permesso di vedere un grandissimo distacco di placenta di 10 cm e un grande ematoma di sangue sotto la placenta. La dottoressa mi guarda e mi dice “io mi rifiuto di farla (l’amniocentesi), il rischio di aborto è troppo elevato lo perderesti subito” Un altro colpo al cuore… scoppio in un pianto infinito, poco dopo però ho capito che il nostro bambino voleva vivere ancora, girandosi si era vista questa problematica e fino a 5 giorni prima non si era vista, sorrido e gli dico alla dottoressa “mio figlio vuole vivere a tutti i costi, oggi se lui non si fosse girato facendoci vedere il distacco, noi avremmo fatto l’amniocentesi e io avrei rischiato di perderlo per sempre…”  A quel punto le cose si complicarono ulteriormente perchè ci viene detto che senza amniocentesi un eventuale intervento in utero non si può fare, soprattutto per la gravità dell’ernia che aveva. Ci danno anche le percentuali di sopravvivenza e quelle parole ancora le sento nella testa: “il bambino ha il 20% di probabilità che sopravviva senza intervento in utero (tecnica FETO) però poichè l’amniocentesi non si può fare e il piccolo ha un’ernia diaframmatica a lato destro SEVERA, anche l’intervento in utero sarebbe un intervento fuori protocollo, che noi purtroppo ci rifiutiamo di fare perché troppo rischioso. Il nostro consiglio è di prendere il primo treno e andare a Milano dove vi metteremo in contatto con il dottor Persico, solo lui deciderà se fare o meno l’intervento.”

Per me il mondo era crollato definitivamente e le speranze che continuavo a cercare, erano veramente finite.

Ad un certo punto però, nel corridoio dell’ ambulatorio, passò l’ostetrica che mi aveva fatto l’ecografia, ci stava aspettando nella sua stanza per darci le dimissioni. Aveva gli occhi lucidi anche lei. Purtroppo i pareri erano discordanti tra i medici presenti, ogni dottore aveva una sua veduta su ciò che si poteva fare e ciò che era meglio non fare. Tutto questo per noi è stato frustante perché non ci sentivamo al “sicuro”. La dottoressa mi guardò e vedendo la mia disperazione mi disse “Non si fermi, c’è un associazione che si chiama Fabed, legga lì tutte le storie di questi genitori che come voi si sono trovati in un mondo nuovo dove non sapevano a chi chiedere… mi dice anche di sentire più pareri medici. Ad esempio qui a Roma c’è l’ospedale Bambin Gesù, vada lì per parlare e veda se c’è una speranza in più”.

La dottoressa si alzò dalla sedia mi abbracciò e mi strinse forte forte la mano.

Usciti da quella porta le sue parole mi passavano per la testa in continuazione, ma allo stesso tempo davanti a noi una porta si era chiusa. Quel pomeriggio è stato devastante, perché chiunque parlava con noi ci diceva “siete giovani, avete una vita davanti, non mettete al mondo un bambino per farlo soffrire.” Piango interrottamente, piango perché per noi non c’era una chance, per questo bambino non c’era speranza. Ero incredula. L’idea di interrompere la gravidanza per me era inaccettabile, non volevo, e non accettavo che fosse l’unica scelta che avevamo davanti.

Quindi prendo il telefono e mi metto sul sito Fabed dove leggo storie e storie. Leggo della forza che ogni genitore ha trovato e leggo storie con un lieto fine. Bambini a cui qualche anima aveva dato una chance di vita. Scorro in fondo alla pagina e mi capita la prima e-mail, di una dottoressa del Bambin Gesù che aveva trattato già delle situazioni come la nostra. Così, disperata, le scrivo. Interrottamente come sto facendo ora spiego tutto ciò che noi avevamo fatto, le diagnosi ricevute e le speranze finite. Erano le ore 20:48 quando mando quell’e-mail, senza speranze che qualcuno potesse rispondere. Invece poco dopo, alle ore 21:34, mi arriva un e-mail. La apro subito. C’era il numero di telefono privato della dottoressa Isabella Fabietti e mi scriveva di chiamarla subito. Per me era un altro miracolo, qualcuno mi stava illuminando o forse era semplicemente l’istinto materno di non arrendermi? Cosi chiamo subito lei capisce immediatamente la situazione e mi dà un appuntamento per la mattina successiva, il 21 maggio al Bambin Gesù.

Era quasi euforica però anche senza troppe speranze che qualcosa poteva cambiare. Passai una delle nottate più lunghe della mia vita, eravamo stremati.

La mattina dopo, appena entrati al Bambin Gesù, c’era quasi un profumo, un’aria diversa… Mi ricevono subito, ci stavano aspettando, la dottoressa aveva già organizzato tutta la sua equipe per noi, in quella stanza eravamo in tanti, tutti per il nostro piccolo.  Iniziamo subito, mi chiesero di raccontare tutto, passo dopo passo capiscono che eravamo pieni di confusione e con zero speranze e quindi passiamo all’ecografia. Loro si consultavano e mi rendevano partecipe, vedendo il bimbo era come se fosse anche loro. In quel momento annunciai come avremmo voluto chiamare nostro figlio: LEONARDO MATTHIAS (forte come un leone, dono di Dio). Da quel momento i medici parlando del mio bimbo, cominciarono a chiamarlo per nome e questa cosa mi faceva sorridere perché li sentivo un lato umano che quasi mi stupiva.  Sono uscita da quella stanza che piangevo perché dentro di me sentivo che c’era una luce in fondo al tunnel, la vedevo, la percepivo.

Poco dopo mi richiamarono avevano preparato un loro quadro completo della situazione e ci dicono “per il piccolo Leonardo c’è una speranza” lì scoppio a piangere, non ci credevo. Per noi era impossibile dopo tutto quello che avevamo sentito. Per noi era un miracolo che qualcuno ci stava ascoltando e insieme a noi stava lottando per trovare una soluzione.

Anche se sarà difficile , anche se siamo solo a metà, anche se non sapremo come andrà, ad oggi noi con tutti i medici anzi “ANGELI CUSTODI” ci stiamo provando e non molleremo finché ci sarà anche una sola possibilità!

Ci saranno mesi dove non sapremo come andranno le cose, però sappiamo che insieme a noi c’è una squadra dove tutti crediamo nello stesso “obiettivo”!

Cari genitori, perché si, siamo già genitori anche prima che il nostro bimbo/a nasca, NON VI ARRENDETE MAI.

Neanche davanti ad un NO, neanche se tutte le porte possano sembravi chiuse, non è così! Cercate sempre, non abbattetevi e credeteci sempre finché c’è vita c’è speranza.

La nostra storia non ha ancora una fine, quindi ci risentiremo. La testimonianza è la cosa più importante che possiamo fare nella vita per dar forza a chi la cerca in qualcuno e non ce l’ha.

Vi abbraccio a tutti, Asia Christian e il piccolo Leonardo Matthias.