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La Storia di Diego

INTRO

Spero che la nostra storia possa dare coraggio a quei genitori che hanno appena scoperto che il loro piccolo/a ha un’ernia diaframmatica. I vostri piccoli hanno forza e voglia di combattere e c’è luce e speranza in fondo al tunnel buio in cui siete appena entrati.

STORIA

Settembre 2022- dopo 6 anni insieme, io e Stefania scopriamo di aspettare un bimbo.

Passano i primi mesi ed iniziamo entrambi ad abituarci all’idea di diventare genitori, discutiamo spesso di come chiamare la nostra piccolina o il nostro piccolino, di quali sport farà, della sua istruzione, insomma facciamo programmi e siamo felici.

Il b test va benissimo, vedo la sua testolina ed il suo cuoricino che batte, la dottoressa mi dice che probabilmente sarà un maschio. Come un maschio? Io ero sicuro che fosse femmina, stavo già combattendo per chiamarla Amaranta, invece… sul maschietto però non ci sono dubbi, sarà DIEGO!

Arriviamo al momento della morfologica, il 4 gennaio 2023, due giorni dopo sarà il nostro anniversario, quale modo migliore di festeggiarlo se non vedendo il nostro piccolino?

La visita a Ravenna dura stranamente tanto, vediamo il suo visino e sentiamo il cuoricino che batte, ma la dottoressa col passare del tempo si fa sempre più seria e poi arriva la diagnosi: il nostro piccolino ha un’ernia diaframmatica sinistra. Il mondo crolla e tutto si fa confuso ed ovattato, cosa significa “ernia diaframmatica”? Cosa comporta per lui? E noi cosa possiamo fare?

La dottoressa ci spiega che è una patologia rara, che capita circa ad un bambino ogni 5000, in poche parole il suo diaframma non si è formato perfettamente ed ha un buco dal quale sono risaliti nel torace alcuni degli organi (soprattutto l’intestino e lo stomaco) impedendo quindi al polmoncino sinistro di svilupparsi.

Se decidiamo di proseguire la gravidanza il piccolo dovrà subire un intervento pochi giorni dopo la nascita ed in ogni caso le possibilità di sopravvivenza sono circa del 50%.

Mi tremano le gambe, ma voglio mostrarmi forte per Stefy che è distrutta, piange e si chiude in sé stessa, io devo assolutamente cercare di stare lucido, capire il più possibile cosa possiamo/dobbiamo fare.

La dottoressa ci spiega che dovremo fare accertamenti genetici a Cesena, perché a volte l’ernia è accompagnata da altre complicazioni genetiche ed in seguito ci fisserà un consulto a Rimini, ospedale di terzo livello della nostra zona che si occupa di questa patologia.

La dottoressa ci informa anche che siamo ancora in tempo per interrompere la gravidanza. Il tempo si ferma di nuovo, o forse è solo il mio cuore che ha perso qualche battito… Io e Stefy non riusciamo più a ragionare, torniamo a casa inebetiti.

I giorni successivi li passiamo a letto a piangere e a leggere sul sito di FABED decine di storie di famiglie che come noi si sono trovate ad affrontare una decisione più grande di loro.

Leggiamo di operazioni FETO eseguite in utero alla Mangiagalli di Milano o alla Bambin Gesù di Roma, leggiamo di bambini in terapia intensiva attaccati a decine di tubi, le cui foto mi turbano talmente tanto che non penso di riuscire a continuare a leggere, con gli occhi colmi di lacrime, invece continuo a nutrire il mio dolore, ma anche la mia consapevolezza di cosa ci aspetta, grazie a tutte quelle testimonianze preziose.

In quei giorni ci chiediamo continuamente: “Cosa siamo in grado di sopportare?” Se decidiamo di proseguire con la gravidanza dobbiamo essere pronti a 4 mesi molto pesanti e poi soprattutto all’eventualità che Diego non ce la faccia, d’altra parte, interrompere la gravidanza significa interrompere il ciclo di dolore immediato, ma il dubbio che ce l’avrebbe potuta fare ci tormenterebbe per il resto della vita.

Decidiamo di aspettare di aver fatto tutti i consulti medici prima di prendere la decisione, anche se Stefania al momento propenderebbe per interrompere la gravidanza, mi confessa che non si sente in grado di reggere questo dolore per tanti altri mesi, io voglio comunque starle vicino qualsiasi sarà la scelta che farà.

Arriva finalmente il giorno del consulto di Rimini, dove ci accolgono Neonatologa, Chirurgo e Ginecologa.

Ci troviamo subito molto bene, facciamo il controllo ginecologico e sulla base del LHR lo identificano come un grado medio, anche se non fanno la FETO ci confortano dicendo che nonostante le medie siano del 50% di riuscita, loro hanno un tasso di successo del 80%!

Usciamo dal consulto galvanizzati, vogliamo provarci! Però in una situazione così delicata vorrei una seconda opinione anche a Milano o a Roma, in una di quelle due cliniche specializzate di cui ho letto così tanto sul sito della FABED.

È venerdì pomeriggio, ma la Dott.ssa Contarini, ginecologa di Stefy, ci aspetta per sapere com’è andato il consulto e, dopo averle raccontato il tutto, si offre subito di aiutarci per quella seconda opinione che mi sta tanto a cuore. Il suo contatto di Milano le fornisce il numero del Dott. Persico, che risponde subito al telefono e ci organizza una visita di controllo già il lunedì mattina.

L’impatto con l’Ospedale Mangiagalli è quasi traumatico… siamo lontani da casa e non sentiamo la stessa empatia provata nella nostra Romagna.

Però la visita è molto meticolosa e la Dott.ssa Boito nota subito che potrebbe esserci un interessamento del fegato che renderebbe la situazione grave, non più moderata.

Le possibilità di sopravvivenza in queste condizioni sono del 30%. Però se decidessimo di fare la FETO potremmo aumentare le speranze di sopravvivenza fino al 60%. Parliamo anche con la Dott.ssa Araimo, neonatologa ed il chirurgo, il Professor Leva. Il morale è a terra, ma capiamo subito di essere di fronte a persone estremamente competenti e che hanno ampia esperienza della patologia.

La decisione si fa ancora più difficile, perché procedere con la gravidanza vorrebbe dire per Stefania sostenere un doppio intervento in utero e trasferirsi dal settimo mese fino al termine della terapia intensiva a Milano, io poi potrei raggiungerla solo nei fine settimana, se non voglio lasciare il lavoro…  intanto che ne parliamo Diego si muove come un pazzo nella pancia, come per dire “Io sono pronto a combattere!”.

A questo punto, mentre siamo ancora indecisi sul da farsi, incontriamo Alice, Alessandro e soprattutto loro figlio Giovanni che 8 anni prima a Rimini era stato operato per correggere un’ernia diaframmatica grave. Giovanni è un bimbo tranquillo, con gli occhi felici ed un sorriso accennato mentre legge il libro che si è portato all’aperitivo. Alice ed Alessandro ci raccontano la loro avventura e noi finalmente prendiamo la tanto sofferta decisione… faremo tutto quello che possiamo fare per dare a Diego una chance.

I mesi a Milano sono difficili, per fortuna durante la settimana c’è la mamma di Stefy a farle compagnia, io arrivo nei weekend e mi prendo delle ferie ogni volta che posso, ma la parte più dura tocca sicuramente a lei, che nonostante i momenti di sconforto tiene duro, trova energie anche dove non sapeva di averne.

Quando a marzo fanno il primo intervento in utero per inserire il palloncino siamo entrambi molto preoccupati, ma l’intervento va bene. Contiamo i giorni fino a quando 6 settimane dopo la Dott.ssa Boito ed il Dott. Persico provvedono all’estrazione del palloncino. Il polmoncino di Diego ha avuto un bello sviluppo in queste 6 settimane ed il primo grande obiettivo è stato raggiunto.

Il 3 maggio il parto naturale va alla grande, Stefania è bravissima e scorre tutto senza intoppi.

Quando entro in TIN mi accoglie un grande lavandino d’acciaio ed un video che spiega come effettuare un lavaggio sterile delle mani e preannuncia che i bambini della terapia intensiva “saranno seguiti per anni anche dopo la dimissione”… sul momento non so se prenderlo come augurio o minaccia…

Finalmente vedo il mio piccolino, sembra un alberello di natale tra luci e tubicini, i dottori e gli infermieri mi dicono che sta bene ed è stabile per il momento. Dopo qualche ora ci raggiunge anche Stefy che non riesce a riposarsi senza prima aver visto Diego.

 

Il 5 maggio è il giorno dell’operazione di Diego e la tensione è alle stelle, ma per fortuna va tutto bene, con solo due piccoli intoppi, perché purtroppo il buco nel diaframma è troppo grande per essere ricucito per cui i chirurghi hanno applicato una patch, inoltre il ventre è talmente scavato che non hanno potuto provvedere immediatamente alla chiusura del taglio ma hanno dovuto applicare una patch addominale in attesa che si riassestino gli organi interni. Dovrà subire un ulteriore intervento tra un paio di settimane per togliere la patch sul ventre e ricucire l’addome.

All’interno della TIN iniziamo a conoscere tutti gli infermieri, bravissimi ed attenti ai dettagli, dei veri angeli e anche quando la tensione sale in mezzo a quelle macchine che suonano, si muovono sempre velocemente e con perizia.

Stefania non lascerebbe mai Diego, nemmeno di notte, ed effettivamente qualche notte in TIN quando Diego non sta benissimo, decide pure di farla.

Dopo circa 40 giorni di TIN, Diego oltre all’operazione programmata per chiudere l’addome ha dovuto superare una fastidiosa subocclusione intestinale, accompagnata da febbre che non gli ha consentito di mangiare per diversi giorni, ma siamo stati finalmente spostati in subintensiva.

Quando stavamo già scommettendo sul giorno della dimissione, però gli viene diagnosticata una recidiva, veniamo rigettati nel vortice della TIN in attesa di un’ulteriore operazione per risistemare la patch diaframmatica che si è scucita. Stefania ha un crollo nervoso, siamo entrambi stanchi, nervosi e spaventati.

L’operazione fortunatamente va bene, il Professor Leva esce dalla sala operatoria stremato, è ormai notte fuori quando mi spiega che ha applicato un’ulteriore patch a rinforzo della precedente.

Al 99esimo giorno di TIN Diego viene finalmente dimesso, non ci sembra vero, durante il viaggio per la Romagna, da poco alluvionata, siamo euforici e coccoliamo il nostro piccolo guerriero.

Nel momento in cui sto scrivendo, Diego ha da poco compiuto un anno, sta bene, ormai porta la mascherina C pap (che ci hanno dato a domicilio alla dimissione) solo qualche ora alla notte, ma tra qualche giorno potrà finalmente smettere di usarla.

Anche i medicinali che l’hanno accompagnato fin dalla nascita, ormai non servono più e li sta gradualmente abbandonando.

Tutte le volte che io e Stefania guardiamo la cicatrice sul suo pancino ci vediamo riflesse le cicatrici che abbiamo nella nostra anima, che raccontano una lunghissima battaglia, che grazie a Dio abbiamo vinto, ma che non scorderemo mai.

Posso soltanto augurarmi che quei ricordi ci aiutino ad assaporare di più i momenti di gioia che viviamo ora insieme al nostro meraviglioso Dieghito, che è un bambino pieno di energia ed allegria.

 

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