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Alice, un raggio di sole che scalda il cuore

Gentili Lettori, abbiamo riflettuto a lungo prima di chiedere a Lucia e Paolo di poter rendere pubblica questa lettera. Ci siamo poi convinti che è talmente bella, profonda e così piena d’amore, che non poteva rimanere solo nel nostro cuore. Hanno scelto di renderla pubblica, mostrando ancora una volta quanto amore abbiano per la piccola Alice.

Come detto da Lucia, seguirà una storia più ampia.

Grazie Lucia, Paolo e Alice, siete una delle cose più belle della nostra vita.

Carissimi,
innanzitutto grazie per il pensiero per Alice sulla home del sito.
Non ho altre parole, ma sono certa che voi sappiate cosa c’è oltre il mio grazie.
Vi penso in continuazione e mi sono resa conto in questi giorni che io so tutto di voi, grazie al sito,
ma voi di noi sapete molto poco o perlomeno al contrario di come succede normalmente nei rapporti tra
le persone, conoscete i nostri sentimenti, i nostri pensieri più intimi, ma della facciata sapete molto poco.
Allora ho pensato che fosse carino farvi sapere chi siamo.
 

Paolo ha 37 anni, è un musicista, diplomato in pianoforte, ma da sempre suona le tastiere. Suona dal
vivo, insegna e fa lavori in studio.
E’ fortunato, fa parte di quei pochi che sono riusciti a fare della loro passione un mestiere.
Io ho 31 anni, come molti della mia età sono una lavoratrice a progetto, al momento pure part-time.
Lavoro per una società che gestisce i fondi europei per le zone rurali. ma fondamentalmente sono
un’impiegata.
Ci siamo conosciuti nove anni fa, ad un concerto di Paolo.
Come tanti giovani, come dice la nonna di Paolo, dopo due anni siamo andati a vivere insieme e dopo altri
due ci siamo sposati.
La nostra vita è cadenzata dai bienni, a due anni dal matrimonio abbiamo deciso comprare una casetta e dopo altri due anni
avevamo deciso di avere un figlio.
Alice però c’era con noi già pochi mesi dopo il nostro incontro.
Ad un saggio degli allievi di Paolo, avevo visto un bambina di 7 anni, Alice, e lui accanto a lei che le
faceva suonare Fra Martino.
Alla fine di quella giornata gli dissi: eri cosi paterno con quella bellissima bambina, quando ne
avremo una anche noi la chiameremo Alice.
Così negli anni c’era sempre la frase “quando ci sarà Alice, pensa quando porteremo al mare Alice e
così via”. Paolo però era convinto che non sarebbe stato un buon
padre, così il percorso per portare Alice dalla fantasia alla realtà è stato duro per me. Quando ad
aprile ho scoperto di essere incinta, Paolo ha cominciato ad andare in crisi per la paura che fosse
un maschio.
Quando abbiamo scoperto che era femmina per lui tutto è cambiato.
Il resto della nostra storia la conoscete. Così come sapete che appena Paolo l’ha vista, l’ha
amata subito infinitamente. In questi giorni di numerose telefonate, mi si stringe il cuore quando lo
sento che dice che per lui quei due giorni con lei hanno cancellato la sofferenza dell’attesa e il dolore
della perdita.
Paolo è più forte di me, nessuno l’avrebbe mai detto. Tra i due io sono il caterpillar, il vulcano. Lui ora
è la mia forza, il mio sostegno. Siamo entrambi convinti che Alice sia stata un dono,

Siamo grati per averla avuta e non siamo arrabbiati per la perdita.
Anzi Paolo mi dice sempre, non l’abbiamo persa, l’abbiamo avuta.
Io però faccio fatica a placare il mio egoismo e il mio desiderio di averla ancora.
Noi siamo una coppia come tante, salvo il fatto che, seppur credenti, veniamo da due culture religiose
diverse. Paolo è di famiglia cattolica, io di famiglia cristiana evangelica battista.
Viviamo però in quelle che sono conosciute come le valli valdesi.
Quando ci siamo sposati, abbiamo deciso di farlo in chiesa valdese, per me non c’è nessuna differenza e
Paolo, attraverso me, negli anni, si è ritrovato più vicino al mio modo di vivere la fede.
Come tanti, seppur credenti, non andiamo al culto la domenica mattina e non frequentiamo la comunità,
tranne per qualche piccola attività collaterale mia, come guida volontaria nei musei valdesi o la
partecipazione alla filodrammatica.
Temevo che quest’evento facesse vacillare la mia fede, che invece si è dimostrata più forte di me.
Martedì mattina abbiamo salutato la nostra bellissima e coraggiosissima Alice.
C’era un sole meraviglioso, così come nei due giorni in cui lei era con noi in ospedale.
Il pastore che ci ha accompagnati in questo momento, ha detto parole bellissime.
Ha raccolto il nostro pensiero sul sole e ha descritto Alice come un raggio di sole che ha illuminato le
nostre vite e scaldato i nostri cuori e che lì rimarrà per sempre.
Ha parlato di come per noi uomini e donne una bambina che muore dopo pochi giorni è un progetto incompiuto,
il progetto più grande per una coppia; ma per il Signore è già un progetto compiuto, così come i
bambini che non nascono e i nonni centenari. per il signore non vi è alcuna differenza, li accoglie come
suoi progetti compiuti e tutti come suoi figli.
a noi rimane il perchè, e non ci rimane che pregare affinchè il signore ci dia la forza di vivere con quel
perchè, di cui forse non avremo risposta finchè staremo qui.
Credo che per me sarà un percorso lungo quello per uscire dal dolore, ma la fede, gli angeli custodi, gli
amici e i parenti mi aiuteranno e quando sarò in grado sono certa che vorrò fare di tutto per poter
accompagnare altri genitori attraverso questo percorso tortuoso, perchè nonostante il dolore vi assicuro che
se tornassi indietro rifarei tutto, perchè quel che dice Paolo, vale anche per me: Alice ci ha dato così
tanto che ripaga anche questi giorni duri.
La mia sofferenza è il mio egoismo, nulla di più.
Credo che nei prossimi giorni comincerò a scrivere la nostra storia, così se poi riterrete che potrà essere
utile ad altri la potrete pubblicare.
Scusate se non ho più telefonato, ma so che avrei singhiozzato troppo e non sarei riuscita a dirvi tutto
ciò che vi ho scritto.
Vi abbraccio forte, e mando una carezza ad Agnese e Livia anche da parte di Paolo e Alice.
Lucia
 

Questa che segue è la storia completa giunta al sito nel marzo del 2010 a completamento della lettera precedente. (G. Venanzi)

Io e Paolo siamo una coppia come tante. Quando abbiamo deciso di provare a far diventare Alice una realtà, lei non si è fatta aspettare…… Nausee a parte, la gravidanza procedeva bene e siamo arrivati all’ecografia morfologica con tutta l’ansia di sapere se era proprio lei….tutte le nostre ansie erano lì, non immaginavamo neanche lontanamente cosa sarebbe successo. La ginecologa comincia a scrutare il monitor e ci dice subito che è una femmina…io guardo Paolo e lo conosco, accidenti se lo conosco, e vedo dal suo viso che gli si sono levati 100 kg dalla spalle….. Poi però…il silenzio…..la dottoressa scrutava e non parlava. dopo un po’ ci dice che non capisce, che qualcosa non va, il cuoricino è spostato a destra, ma magari è solo una ciste del mediastino. Scendo dal lettino mi rivesto e in automatico mi peso. Ho preso 3 kg, ma la ginecologa mi dice ” non importa” mettendomi una mano sulla spalla. Quel gesto mi ha fatto capire tutto: era ora di preoccuparsi. Ci saluta dicendoci che ci avrebbe prenotato un’eco di II livello a Torino, il prima possibile. E’ venerdì, ci sentiamo lunedì. Usciamo e in ascensore comincio a piangere. Da quel giorno, non ne ricordo più uno senza piangere, anche solo due lacrime di nascosto. Nei momenti di buonumore, ci scherzo su e dico che ormai fa parte delle mie funzioni fisiologiche. Il martedì mattina siamo lì a Torino, in una sala d’attesa piena di donne che sono lì per amniocentesi, villocentesi, ecografie di II livello…. mi guardo intorno e noto che sono tra le più giovani e comincio a chiedermi cosa ci faccio io lì…. Paolo ha un grande dono: sa farmi ridere sempre e comunque. così per far passare il tempo e per farmi passare l’ansia mi fa ridere…. quando mi chiamano chiedo se può entrare anche lui, mi dicono di no. E io come faccio adesso? va beh, entro….. il dottore comincia…guarda un po’ e dice “importante ernia diaframmatica sinistra”, io non so di cosa sta parlando. guarda ancora un po’ e mi dice “signora qui la situazione è seria, deve scegliere, a che settimana è? 21, mmmmm….per carità se vuole può portare avanti la gravidanza, è una scelta anche quella, ma è in tempo a fare l’aborto”. Mi sento svenire, mi sento sola, abbandonata, dov’è Paolo? la mia bambina no, non capisco, che cos’ha? intanto entrano e escono medici, consulti per altre pazienti e io lì, mi è arrivato un treno addosso, un macigno sul cuore e sembra che si siano dimenticati che sono lì, parlano di un’altra paziente e io che vorrei solo alzarmi e andare da Paolo, invece no, arrivano altri, il dottore che fa vedere ad altri la mia bambina e commentano…. poi mi dice “guardiamo il resto, le labbra, gli arti (il tutto senza che io possa vedere il monitor, come se io non fossi la madre….)…ok, per il resto è perfetta…. “si alzi pure e mi aspetti fuori, noi intanto vediamo se al pediatrico ci sono i chirurghi..” esco con gli occhi gonfi e cerco Paolo con lo sguardo, gli faccio segno di alzarsi e ci allontaniamo nel corridoio…non so più che parole ho usato, ma gli ho detto che era grave, che ci hanno proposto l’aborto…. poco dopo arriva il dottore che mi ha fatto l’ecografia, ci fa entrare nell’ufficio e comincia a spiegarci bene di cosa si tratta. ci dice che capita, che è un caso, non è colpa nostra e così via. ci dice che al pediatrico i chirurghi ci aspettano per dirci cosa si può fare alla nascita, ma che se vogliamo possiamo abortire. Completamente intontiti, quasi incoscienti, ci incamminiamo per passare il tunnel che divide i due ospedali. Arriviamo dove indicato e i chirurghi ci portano in una sala per spiegarci cosa si può fare per nostra figlia. Ci parlano di percentuali, ci parlano di un 70% di possibilità , di una buona qualità di vita dopo l’intervento, ma anche di eventuali complicazioni che posso insorgere se dovesse rendersi necessario l’uso di un patch se il danno al diaframma fosse ampio, ci dicono che non si può valutare bene in ecografia, che comunque il punto è arrivare all’intervento perché il primo problema è la nascita. Ci spiegano abbastanza bene cosa sarebbe successo alla nascita. ci dicono che possiamo fare l’amniocentesi d’urgenza per vedere se ci sono trisomie associate ed eventualmente prendere una decisione in base a quel risultato. Ma abbiamo poco tempo per l’aborto, quindi bisogna decidere in fretta. Ci lasciano i loro numeri di telefono, per qualsiasi dubbio, per dire loro cosa abbiamo deciso. Usciamo, con il cuore a pezzi. sono talmente confusa che l’unica cosa che riesco a dire a Paolo è “potevo anche non smettere di fumare”. ancora un paio di telefonate con i dottori e la decisione è presa. le percentuali ci sembrano buone, siamo arrivati fin qua, Alice è con noi e noi per lei ormai possiamo fare solo una cosa: darle una possibilità. così comincia la giostra di controlli, ogni tre settimane andare a Torino, l’attesa, sperare che quantomeno la situazione non sia peggiorata….mai una volta che facciano entrare Paolo con me. io da sola, col terrore di ciò che mi diranno….ma il peggio è che non dicono mai niente, silenzi lunghi….io che cerco di sbirciare sul monitor, ma non capisco mai niente di quelle immagini. due o tre persone che guardano e non parlano. io che ogni volta vado in apnea…..riesco solo a chiedere se la situazione è peggiorata, se almeno Alice cresce…. loro mi dicono che cresce bene. per fortuna ogni volta dopo quella tortura psicologica passiamo dai chirurghi del Regina Margherita, e la dott.ssa Teruzzi, con la sua dolcezza ha sempre uno sguardo consolatorio. mi fa stare bene parlare con lei. non dice nulla di più, nulla di nuovo, ma mi fa stare bene. il tempo passa, Alice cresce bene e io penso che se sarà grande magari avrà più forze per farcela. comincio ad avere troppo liquido amniotico, ma mi dicono che è normale vista la patologia. la pancia è sempre più grande e a metà ottobre la mia ginecologa mi trova il collo dell’utero già un po’ accorciato, così mi dice di mettermi a riposo che non possiamo rischiare di farla nascere prima. però mi fa anche un bel regalo, mi fa un’ecografia per farmela vedere, come succede alle mamme normali. Paolo quel giorno purtroppo non c’è e così non può vedere quanto è grande e bella la sua piccola Alice. intanto fissiamo la data del cesareo, sarà il 30 novembre. ricovero il 29. io continuo a lavorare, ho bisogno di tenere la testa occupata, perchè a casa lo sconforto e la paura di ciò che succederà rischiano di farmi diventare matta. a metà novembre smetto di lavorare, devo riposarmi e raccogliere energie per i tempi che verranno. cerco di concentrarmi, devo godermi ogni calcio, tra le lacrime penso che potrebbero anche essere gli unici momenti concessi con la mia amata Alice e devo godermeli tutti. ma in fondo non posso credere che tornerò a braccia vuote a casa, no, Alice terrà duro e sarà combattiva e verrà a casa. arriva così il giorno del ricovero. cominciano gli esami del sangue, i monitoraggi e le visite….. “signora ha delle contrazioni non le sente? signora è già un po’ dilatata…..non si è accorta di nulla?” “no, cavoli è la prima volta per me che ne so io….credevo fosse Alice che si muoveva….” è pomeriggio, finalmente mi danno un letto…mi corico….che male alla schiena, Paolo chiama l’ostetrica forse sono contrazioni… monitoraggio…..”signora sta entrando in travaglio, qua bisogna fare il taglio subito….lei lo sa che la situazione è seria vero? chiamiamo la terapia intensiva del Regina Margherita. bene signora, sono tutti avvisati andiamo.” “come???? io non sono pronta, non posso ancora separarmi da lei”….mi preparano, Paolo mi accompagna fino all’ascensore e mi dice di star tranquilla, che lui va di là ad aspettare Alice…. arriviamo in sala, le lacrime scendono e non sento niente, mi preparano, anestesia spinale via…. ad un certo punto l’anestesista mi dice “signora guardi”: abbassano il telo, tutti che dicono che bimba grande! e la vedo, a testa in giù… dopo poco mi fanno girare la testa così la vedo, contornata dai neonatologi….dopo poco, uno di loro con lei in braccio si avvicina e dice “veloce, un bacio alla mamma e scappiamo via”….le do un bacio: non dimenticherò mai la sensazione sulle labbra, così calda e morbida….le dico “tieni duro amore mio” e la portano via. a me non resta che aspettare notizie da Paolo.

Paolo la sta aspettando fuori dalla terapia intensiva e quando arrivano si fermano pochi secondi per fargliela vedere, lei è sveglia, lo guarda, fa un verso, e poi la portano dentro.

Lui aspetta, nell’attesa chiama una mia amica di Torino, le dice cosa è successo e le chiede di venire da me.

Così lei arriva da me e insieme aspettiamo che lui ci chiami.

Nel frattempo lui viene fatto entrare, glie la fanno vedere, sedata ormai.

Poi mi chiama, mi dice che è bellissima e che mi raggiunge al più presto. Nel frattempo si sente al telefono con Gianluca della FaBED, il quale, prezioso compagno di questo strano viaggio e instancabile sostegno per noi genitori, gli spiega bene cosa chiedere ai medici e cosa guardare nei macchinari che circondano la nostra amata bambina.

Eccezionalmente quella notte lo lasciano stare con me, mi hanno messa in una stanza singola, quella dei casi speciali e lasciano che lui passi la notte accanto a me.

Lui dorme per terra, poverino, io non chiudo occhio. Sono eccitata, sono mamma e non vedo l’ora di potermi alzare per andare a conoscere la mia bambina!!

Il mattino dopo Paolo si reca alla terapia intensiva per avere notizie, io chiedo alle ostetriche di alzarmi, devo rimettermi in piedi, voglio andare dalla mia bambina.

Sono seduta, che guardo il vuoto, e aspetto…..con la coda dell’occhio vedo che è arrivato, ma resta fuori. Sento che non ha buone notizie: entra e con le lacrime agli occhi mi dice che Alice ha passato una brutta notte, non riesce a stabilizzarsi, i medici sono preoccupati.

Passa la giornata e finalmente arriva la sera, l’ora in cui posso andare anche io.

Con la carrozzella Paolo mi fa fare quel lungo giro, l’ascensore, il tunnel sotterraneo che collega gli ospedali, l’altro ascensore ed eccoci lì, in attesa che ci facciano entrare.

Esce un’infermiera e ci chiama “i genitori di Alice posso entrare”. WOW!!! siamo noi i genitori di Alice!!!

Sorretta da Paolo mi alzo, fatico a fare qualsiasi cosa, cammino a passi piccoli, ma ho fretta, la mia bimba ha fretta. Lui mi barda tutta, e mi porta da lei.

Eccola lì, cicciottella come la immaginavo, perfetta come una bambola. Come poteva un corpo così bello e perfetto esteriormente nascondere un’imperfezione tanto grave????

Mi fanno lavare le mani e mi dicono che posso toccarla.

Ed ecco il miracolo: appena comincio ad accarezzarla, i monitor che la controllano ci mostrano delle sue reazioni. Paolo è incredulo e mi dice che con  lui non reagiva così tanto….

Nel frattempo arriva anche la dottoressa Teruzzi, la nostra cara dottoressa, che mi esorta a non stancarmi (in realtà le sue parole sono state “e lei cosa ci fa già qui? È stata operata deve prendersi cura anche di lei!!!”) e mi sostiene nell’idea di provare a stimolare il latte con il tiralatte elettrico…

Ritorno in camera felice, ho visto la mia bambina, lei è grande e forte e sono fiduciosa.

La notte finalmente dormo.

Il mattino dopo ci chiamano: Alice non riesce a stabilizzarsi a dovere, decidono di operarla. Al momento non capiamo la gravità della decisione.

Andiamo e decidiamo di stare lì fuori per tutto il tempo. Più di quattro interminabili ore di intervento.

Quando finiscono, la dott.ssa Teruzzi e il primario, vengono a parlarci.

L’operazione è andata bene, lei è stata stabile tutto il tempo, ma l’ernia era grossa. Hanno dovuto mettere un patch. Ecco, mi sento di nuovo svenire, meno male che sono ancorata alla mia carrozzella.

Ci parlano della luna di miele, le prime 48 dall’operazione che sono importanti, fondamentali.

Aspettiamo che ce la facciano vedere.

Poi torniamo in camera e Paolo va via, deve andare a lavorare.

Alla visita della sera mi ci accompagna la mia cara amica. Entro da sola, la accarezzo, le parlo, ma dopo poco sento che non posso stare lì senza Paolo, e mi accingo ad uscire. L’infermiera mi esorta ad aspettare, vuole che io parli con il medico. Eccolo lì, vedo di nuovo il treno che sta per arrivarmi addosso. Lui mi dice che non va tanto bene, non sta bene, la mia piccola. Mi dice che ogni bimbo fatica nell’adattamento alla vita fuori dall’utero, figuriamoci lei con tutto quello che ha dovuto affrontare.

Capisco e non capisco.

Esco e mi faccio riportare in camera dalla mia amica. Nel tragitto scoppio a piangere. Capisco e non capisco.

Intanto mi hanno spostata di camera, c’è un’altra mamma con il suo piccolo. Ma è una mamma speciale, scoprirò poi, e ha tanta sensibilità e quando arrivo fa uscire tutti dalla camera.

E poi arriva la notte.

Suona il telefono, sono le tre e mezza, è Paolo: “ amore, mi hanno chiamato dalla tin, Alice non sta bene, ci chiedono se vogliamo battezzarla.”. Capisco e non capisco.

Dopo dieci minuti risuona il telefono: “amore, non ce l’ha fatta”.

Capisco e non capisco.

Arrivano le sei, arriva la colazione. La mia compagna di stanza mi chiede che ore sono, le rispondo “le tre e mezzo”.

Sono ferma lì. Capisco e non capisco.

Poi lei mi chiede quando vado al nido per incominciare a tirare il latte. Le dico che non serve più.

Mi dice che le dispiace, che l’anno prima ha fatto un aborto terapeutico e mi capisce. Poi mi dice delle cose, che col tempo, dopo che me l’avranno detto in tanti, odierò. Mi dice che sono giovane, che ora mi sembra impossibile, ma avrò altri figli etc etc.

Io so solo che voglio la mia bambina.

Arriva l’ostetrica, mi chiede come sto e piango. Mi dice che avrebbero dovuto aspettare altri due giorni, ma se lo chiedo mi dimettono. Le dico che voglio tornare a casa.

Arrivano le puericultrici ad insegnare alla mia compagna di stanza a cambiare il bambino. Voglio morire.

Arrivano delle infermiere e mi dicono che se non mi alzo non possono cambiare le lenzuola e me le tengo sporche tutto il finesettimana. Non mi alzo.

Devo aspettare che arrivi Paolo, dobbiamo andare dalla nostra bambina.

Dopo interminabili due ore, arriva. Andiamo alla tin, ci dicono che è già in camera mortuaria. L’unica cosa che riesco a dire al medico è “ci abbiamo provato” e lui risponde “anche lei”.

Arriviamo sotto, mentre entriamo penso che forse non ce la faccio a vederla.

C’è una porta, sopra un foglio con disegnato un angelo e il nome; Alice Gambino.

La signora, incredibilmente gentile e dolce, ci parla delle pratiche, ci dice che possiamo fare delle foto, che forse in futuro ci serviranno. A me sembra spaventoso, non si fotografano i morti!!! (se solo avessi saputo, se solo l’avesse fatta qualcun altro quella foto, quanto la vorrei ora…)

Poi ci accompagna in quella stanza, ci fa sedere e ci porta una culletta e lì, avvolta in un telino bianco, la nostra bambina. Ci dice di stare quanto vogliamo, di prenderla in braccio e salutarla.

Paolo la prende in braccio, la tiene un po’ e poi me la da. Eccomi lì, finalmente con la mia bambina in braccio mi sento davvero mamma. Sono mamma!!! La guardiamo, le orecchie perfette, il taglio degli occhi di Paolo, il naso che sembra la miniatura del mio.

Dopo un tempo indefinibile ce andiamo.

Non torneremo più, sento che se la vedo un’altra volta, se la tengo una volta sola ancora, non sarò mai più in grado di separarmene.

Torniamo a casa, mi aspettano amiche e parenti.

Dopo due giorni devo tornare a levare i punti, mi fanno andare in reparto a farlo.

Ma poco importa se sono in mezzo a mamme panciute e cullette con bimbi urlanti, non sono io lì, io non sento niente, non sono niente.

Chiedo solo di poter salutare la dottoressa che mi ha operata, che è stata davvero tanto gentile. Lei arriva, mi dice che le dispiace molto e ci salutiamo. Le ostetriche mi salutano dicendomi che sperano di vedermi al più presto in un’occasione più felice.

Il giorno dopo la sepoltura in cimitero.

Il nostro pastore ci dice parole importanti che ci fanno davvero bene al cuore.

Salutiamo la nostra bimba e torniamo a casa, nel vuoto, nel silenzio.

E ora? Ora cosa siamo? Ora che si fa che è tutto diverso da come programmato nove mesi prima?

Da dove si ricomincia a vivere?

E’ Natale e decidiamo di tentare la fuga. Assisi è la nostra meta, per scappare dal natale intorno a noi, andiamo a cercare rifugio dove il senso del natale dovrebbe essere ancora legato al messaggio di speranza che ha portato Gesù.

Da qui è cominciata la nuova vita, quella che è passata attraverso l’arrivo di nostra figlia e la sua partenza, che prosegue nel silenzio, nella solitudine, tra il divano e la voglia di murarsi in casa, tra la paura di uscire e scoprire che quando esci nessuno più ti chiede nulla, ti dicono tutti di dimenticare e guardare il futuro, tanto siamo giovani e avremo altri figli.

Ma è una nuova vita fatta di relazioni sincere, chi è rimasto accanto a noi è davvero con noi; arrivano nuove sincere amicizie, troviamo una rete di mamme e papà che conoscono il nostro dolore e ci fanno fare cordata per arrivare alla cima, dove non c’è guardare avanti e guardare indietro, ma è tutto intorno e dentro di noi. Alice è ovunque e ci indica la strada.

A più di tre anni dalla nascita e morte di Alice, riesco a finire questo racconto.

Forse non ero pronta prima, forse non avevo ancora davvero trovato un posto per questa nostra grande storia d’amore, forse non ero ancora sicura che questo amore fosse per tutta la vita e avevo paura di perderlo scrivendo.

Ora capisco, non tutto, ma capisco.

E so che se tornassi indietro rifarei tutto, perché la nostra vita da Alice in poi è molto migliore di prima.

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