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La storia di Viviana

Questa è la storia di una piccola combattente di nome Viviana, chiamata così perchè ad un certo punto della gravidanza, dopo aver già pensato ad altri nomi, la mamma e il papà hanno deciso che quello era il più adatto per una bimba che, appena nata, doveva prepararsi a lottare con tutte le sue forze per “guadagnarsi” il diritto alla vita.

Già, perché Viviana significa proprio “colei che ha vita”, un nome augurale dato in epoche passate ai neonati, con l’auspicio di una buona e felice vita.

Ma facciamo un passo indietro.

Mi chiamo Nicola e, insieme a mia moglie Roberta, viviamo a Torino.

Desidero far iniziare questa storia a partire da una data precisa, il 23 giugno 2012. Data a partire dalla quale, mai avremmo potuto immaginare di iniziare ad avere una incredibile altalena delle più disparate emozioni e sensazioni: gioia, serenità, felicità, paura, ansia, disperazione, angoscia, speranza, di nuovo felicità e..chi più ne ha più ne metta…tutte concentrate in un solo anno!

Eh si, perché dopo diversi anni di fidanzamento e qualcuno di convivenza, Roberta ed io, il 23 giugno decidiamo (finalmente!) di sposarci e dar vita ad una famiglia tutta nostra, magari coronata appena possibile dalla nascita di un bel pupetto/pupetta!

Trascorsi circa 3 mesi, dopo uno splendido viaggio di nozze e un altro bellissimo “viaggetto” nei primi giorni di settembre (sul quale torneremo dopo..), verso la fine di settembre facciamo il test di gravidanza che dà un risultato inequivocabile:  ASPETTIAMO UN BEBE’! In men che non si dica, il nostro desiderio e le nostre preghiere erano state esaudite e presto Roberta ed io saremmo diventati mamma e papà! La gioia è incontenibile! Iniziamo subito a muoverci con tutte le cautele del caso, classiche dei primi tre mesi di gravidanza, informando giusto i parenti più stretti, brindando con loro per l’evento che avrebbe totalmente stravolto la nostra vita e, ovviamente, fissando la prima visita ginecologica per accertarci che tutto procedesse bene.

Trascorse alcune settimane, il 19 ottobre andiamo dalla bravissima ginecologa di mia

moglie, la dott.ssa Arduino, per la prima visita di rito.

Appurato che tutto procedeva regolarmente e si sentiva il battito cardiaco, per la prima volta, attraverso l’ecografia, finalmente stavamo vedendo la nostro piccola “tartarughina” che si muoveva (eh si perché la forma sembrava proprio quella di una piccola tartaruga!).

La dottoressa ci confermava la data presunta del parto, intorno al 30 maggio 2013.

Sarebbero seguite altre due visite, a novembre e dicembre, durante le quali veniva confermato che tutto proseguiva come previsto e pian piano vedevamo la tartarughina crescere e iniziare a prendere forma…

Giungiamo quindi diretti a quel “famigerato” venerdì 11 gennaio 2013. Appuntamento per l’ecografia morfologica. Come qualsiasi futuro genitore che non vede l’ora di conoscere il sesso del proprio figlio, arriviamo a quella data dando quasi tutto per scontato, senza neanche stare troppo a pensare all’importanza di quel tipo di ecografia e delle sue implicazioni, per lo studio della morfologia fetale del bambino, come dice la parola stessa. Arriviamo in studio scherzando e ridendo, scommettendo semplicemente se avremmo avuto un maschietto (non lo nascondo, la mia preferenza iniziale..) o una femminuccia, come tanto desiderava Roberta. Inizia l’ecografia. All’inizio sembra tutto a posto, ma dopo un pò inizio a vedere che la dottoressa si sofferma su un punto in particolare senza dire niente. Le chiediamo se è tutto a posto. In maniera molto pacata, ma altrettanto sicura, dopo un pochino, ci dice che “c’è un’anomalia”. Da quel preciso momento e dopo quella frase, pur pronunciata nel modo più “soft” possibile, niente sarà più come prima. Rimaniamo gelati, cercando di capire di che anomalia si tratti. La dottoressa ci fa sedere e ci spiega ciò che ha visto attraverso l’ecografia.

L’evidenza oggettiva è che il cuore appare spostato a destra e questo, in assenza di altri elementi diagnostici visibili e significativi, potrebbe voler dire ERNIA DIAFRAMMATICA.

Ovviamente, come tutti coloro che si approcciano per la prima volta con questa patologia, non sappiamo minimamente di cosa si tratti. La dottoressa ci spiega brevemente in cosa consiste, le possibili strade percorribili e, in caso sia confermata la diagnosi e decidiamo di portare a termine la gravidanza, l’intervento chirurgico da affrontare alla nascita della bimba. Ah già, dimenticavo, perché di una bimba si tratta..ormai però il sesso è passato ben più che in secondo piano..e i pensieri sono chiaramente da tutt’altra parte.

La  dottoressa ci invita però a pazientare e possibilmente non fare ricerche su internet che per il momento potrebbero solo farci del male, in attesa di una ecografia di secondo livello che ci avrebbe prenotato lei stessa per il lunedì successivo all’ospedale S. Anna di Torino. Esame che sarebbe servito, attraverso strumenti diagnostici ancora più precisi, a confermare o meno la diagnosi.

Senza troppi giri di parole, ricordo quel weekend come uno fra i più lunghi, più intensi e drammatici della mia vita. Contravvenendo ai saggi consigli della dottoressa, già da quel venerdì notte, mentre Roberta dorme, inizio a girovagare su internet alla ricerca di informazioni più precise su questa maledetta ernia diaframmatica.

Inizio solo da quel momento a realizzare meglio di cosa si tratti veramente, comprendere il reale significato di quella patologia, scorrere  percentuali di incidenza, percentuali di LHR e parametri di vario tipo. Ma soprattutto rimango impressionato dalle percentuali di sopravvivenza, statisticamente fra il 50 e il 60%. Ricordo bene un articolo nel quale leggo che a tutt’oggi si tratta ancora della patologia malformativa neonatale a maggiore mortalità, pur con una netta riduzione dei tassi di mortalità negli anni, soprattutto nei centri di eccellenza a livello mondiale.

Inizio a comprendere bene quello che potrebbe succedere a nostra figlia appena nata, dall’intubazione immediata alla sedazione totale, all’intervento chirurgico e a tutte le sue implicazioni. Ma soprattutto realizzo che nulla sarà scontato e che all’intervento, che ci si arrivi o meno, saranno legate mille altre variabili.

Trascorro il weekend nello sconforto totale, senza parlare con Roberta di tutto ciò che avevo letto, se non ovviamente delle cose già dette con la dottoressa il venerdì precedente.

Lunedì 14 gennaio è il giorno della verità, andiamo al S. Anna per questa ecografia e troviamo diversi dottori, fra cui la nostra ginecologa, ad accoglierci per l’esame previsto. La diagnosi viene confermata. Non si scappa, si tratta proprio di ernia diaframmatica sinistra. La più comune, pur nella “rarità” della patologia. Il dottore che esegue l’esame è però incoraggiante (come peraltro era stata anche la dott.ssa Arduino). Da ciò che si vede ecograficamente, per il momento gli organi risaliti in  torace non sembrano tantissimi e troppo estesi. Arriva subito anche la chirurga dell’adiacente ospedale Regina Margherita, che ci spiega i dettagli dell’intervento (che già ormai avevo “studiato” abbastanza su internet..). Sia lei, sia l’altro dottore, ci ribadiscono però anche in maniera molto chiara che, pur sembrando per il momento quello di nostra figlia più lieve di altri casi, si tratta comunque di una patologia molto grave, la cui evoluzione pre e post-natale non è mai prevedibile e, ad oggi, non esistono in nessun caso garanzie di sopravvivenza alla nascita.

Veniamo quindi informati in maniera chiara della varie possibilità a nostra disposizione, dall’aborto terapeutico da effettuarsi entro la 24a settimana di gravidanza (noi eravamo alla 21a..), alla possibilità di fare un’amniocentesi d’urgenza per scongiurare anomalie cromosomiche che in alcuni casi si associano a tale patologia. Decidiamo di procedere con l’amniocentesi, che verrà effettuata due giorni dopo e attendere i risultati.

Nel frattempo, superati primi giorni di forte shock, Roberta ed io iniziamo ad affrontare la cosa in maniera realistica, cercando di provare a pensare alla situazione in maniera più ottimistica e positiva, altrimenti i circa quattro mesi che ci separano dalla nascita di nostra figlia diventerebbero un inferno. E questo non gioverebbe a nessuno, soprattutto alla nostra piccola creatura in grembo.

Intanto riceviamo anche l’esito dell’amniocentesi, che fortunatamente dà il risultato sperato, confermando che perlomeno non ci sono problematiche cromosomiche associate.

La settimana successiva alla notizia diventa cruciale nel nostro cammino e ci serve per approfondire ancora di più l’argomento, ma soprattutto per venire in contatto, tramite il sito che tanto mi era servito nei giorni precedenti per comprendere meglio gli aspetti “tecnici” di questa patologia, con l’associazione della Fa.b.e.d., nelle persone (in rigoroso ordine cronologico!) di Letizia Mauri e Gianluca Venanzi.

Entrambi si rivelano subito di grandissimo supporto, dal punto di vista pratico ma anche psicologico e umano, nel fornirci tutte le indicazioni e l’assistenza del caso, in ogni istante abbiamo bisogno di qualcosa, con una naturalezza ed una disponibilità davvero stupefacenti.

Non dimenticherò mai, sabato 19 gennaio (pur essendo ancora in “stato confusionale”) il primo bellissimo incontro a Torino, all’interno dell’Area 12 adiacente lo Juventus Stadium, con Letizia, Carlo e Ricky, a cui poco dopo si aggiungono Cristiana e Francesco. Ricky e Francesco, due dei bimbi “simbolo” del sito Fabed, di cui solo pochi giorni prima avevo letto con tanta attenzione le storie e che adesso vedere lì, ormai “ragazzini” così belli, vivaci e solari, mi trasmetteva un grandissimo senso di speranza per il futuro.

Non senza qualche remora e perplessità iniziale, incominciamo a valutare seriamente la possibilità di affrontare questa avventura in uno dei centri di riferimento maggiormente specializzati nel trattamento della CDH, anche in base a tutte le esperienze maturate tramite l’associazione e i convegni che ogni anno si svolgono in Italia.

Pur non potendo far niente di “certo” che assicuri a nostra figlia di rientrare in quella famosa percentuale di sopravvivenza, iniziamo a pensare sia fondamentale affidarci ai migliori medici e alle migliori strutture. Poi pregare e sperare davvero che tutto possa andare per il verso giusto.

Decidiamo dunque di orientarci verso la Mangiagalli di Milano.

In breve tempo, grazie alla Fabed, riusciamo ad ottenere una prima visita e un counseling con le diverse figure interessate, già per il 28 gennaio!

Arriva il giorno programmato e conosciamo finalmente una parte importantissima delle persone che ci avrebbero accompagnati con la loro grande competenza, cortesia e disponibilità, lungo tutto il nostro “percorso milanese”, il dott. Nicola Persico e la dott.ssa Isabella Fabietti.

In realtà uno dei vari motivi che ci aveva spinti verso Milano era anche la possibilità aggiuntiva, in relazione all’ernia diaframmatica, di utilizzare una terapia innovativa denominata F.E.T.O. attraverso un intervento in utero ancor prima della nascita, grazie al quale viene data una speranza in più anche ai casi più gravi. E alla Mangiagalli, per il momento unico centro in Italia in cui si effettua questa tecnica, proprio i due giovani dottori sopra citati avrebbero praticato “nel caso” questo intervento.

La prima visita, pur confermando ovviamente la diagnosi, si rivela molto positiva. L’ernia non sembra, come già visto a Torino, delle peggiori, ma soprattutto si aggiunge un elemento molto importante. Ossia uno dei parametri fondamentali, che misura il rapporto tra la grandezza del polmone controlaterale al difetto e la testa del feto (LHR), sembra essere buono, circa al 50%. E solitamente, più alto è il valore di questo parametro, migliore è la prognosi finale.

Stando così le cose, se nel corso delle settimane successive non ci fossero stati peggioramenti, non sarebbe stata necessaria la F.E.T.O. e si poteva pensare di arrivare al parto senza ulteriori interventi prima della nascita.

E così infatti succede, ogni tre settimane ci rechiamo puntualmente a Milano per la visita di controllo. Gli organi erniati in torace sembrano non aumentare (sapendo bene però che lo strumento ecografico non consente sempre una visione chiara e completa della situazione, che sarà possibile completamente solo in fase di intervento), ma soprattutto il valore di LHR si mantiene costante nel tempo.

Nel frattempo, in una delle varie visite di controllo a Milano conosciamo un’altra persona fondamentale nel nostro cammino, di cui già avevamo sentito parlare parecchio nelle settimane precedenti, il chirurgo che avrebbe operato nostra figlia appena nata, il dott. Maurizio Torricelli.

L’incontro si rivela anch’esso importantissimo, sia dal punto di vista tecnico, per la grande quantità d’informazioni che il dottore ci fornisce, unite alla sua grande schiettezza, sia per la grande umanità e il senso di sicurezza che ci infonde.

Così, a piccoli passi, giunti a inizio aprile, insieme ai dottori Persico e Fabietti arriviamo a programmare una data di massima per il parto, che potrebbe essere intorno al 20 maggio, una decina di giorni prima della scadenza naturale.

Intanto con Roberta, già verso la fine di aprile, quasi al termine dell’ottavo mese, decidiamo di trasferirci cautelativamente in pianta stabile a Milano in vista del parto e io inizierò a viaggiare su e giù tra Torino e Milano, per via del lavoro, fino alla data effettiva del parto.

Andiamo avanti così per una decina di giorni, fino a venerdì 3 maggio, quando la sera, da Torino torno a Milano per il weekend.

Andati a letto, verso le 3 di notte all’improvviso ci svegliamo e, sorpresina…uno scroscio aveva completamente bagnato il letto…si erano appena rotte le acque!

Viviana pare avesse deciso che era ora di uscire e affrontare la situazione!

Totalmente spaventati e impauriti dall’evento imprevisto, nonostante l’ora chiamiamo subito il dott. Persico, che, come fossero le 3 di pomeriggio, con la sua grande solita tranquillità, ci dà le indicazioni su come muoverci. Fortunatamente ci trovavamo già a Milano, a 200 metri dalla Mangiagalli, quindi ci precipitiamo immediatamente in ospedale dove Roberta viene subito ricoverata. Trascorsa quel che rimane della notte in grande stato di agitazione, la mattina seguente ci rincuora veder subito arrivare da noi di buon’ora la dott.ssa Fabietti, per l’ultima ecografia di controllo. Appurato che Viviana “sta bene” e non ci sono ulteriori complicazioni, iniziamo il conto alla rovescia…

Tralascio in questa sede di raccontare tutta la parte che da questo momento arriva sino al parto, fatta ovviamente di grande ansia e preoccupazione, per tutto quello che, dopo mesi difficili e con tutti i possibili scenari che avevamo immaginato sino a quel momento, ora ci apprestavamo a vivere davvero. Fatto sta, che dopo quasi due giorni di attesa e di mille raccomandazioni a tutti i dottori che incrociavo, perché tutte le fasi delicatissime che in pochi minuti avrebbero portato nostra figlia dalla sala parto al reparto di terapia intensiva neonatale fossero coordinate nel miglior modo possibile (come se loro non le sapessero già da soli e come solo un rompiscatole come me poteva fare!), alle 19.02 di domenica 05 maggio, tramite parto naturale indotto, SORGE IL NOSTRO SOLE VIVIANA!

Al momento della nascita mi trovo ovviamente in sala parto, insieme a Roberta e circa altre 15 persone, tra ginecologi, ostetriche, neonatologi, infermiere e assistenti vari.

Il momento è uno di quelli impressi bene negli occhi, nella mente e nel cuore, che mai nella vita potrò più dimenticare. Viviana è bellissima, con due occhi già aperti, scuri e grandissimi, che mi fanno innamorare di lei all’istante.

Neanche il tempo di goderci quel magico momento..e subito Viviana viene portata dall’equipe di neonatologia nella stanza attigua.

Lascio quindi Roberta in sala parto, ovviamente ben assistita dai vari medici presenti e seguo subito mia figlia. Mi fanno rimanere qualche minuto fuori dalla stanza e, dopo averla intubata e stabilizzata, finalmente posso entrare per conoscerla e vederla da vicino.

E’ un altro momento incredibile, unico, fra lei e me. La vedo stesa sul lettino, già col respiratore attaccato al naso, ma sempre bella vispa…e mi inginocchio subito verso di lei. Forse istintivamente, appena mi avvicino, si gira verso di me, quasi come a guardarmi. Da neo-papà totalmente intontito e instupidito, senza curarmi di tutti i dottori intorno, le dico: “Ciao amore mio, mi riconosci? Sono il tuo papà!!!”.

Il tempo di farle una foto da “sveglia” prima che la portino via e mi accorgo che, dietro di me, c’era il dott. Persico ad assistere a tutta la scena. Lo abbraccio e lo ringrazio, anche per avergli rotto le scatole al telefono diverse volte per tutto il weekend e per la grande disponibilità dimostrata, nel venire più volte in ospedale apposta per noi, anche se non era di turno.

Gli attimi però sono concitatissimi, subito portano Viviana fuori nel corridoio e, appena usciti, chiedo di fermarci di nuovo nella stanza a fianco per un saluto veloce della mamma, altrettanto emozionante e certo non privo di lacrime, fatto di mille sensazioni contrapposte (mi sembrava il minimo dopo tutto quello che aveva dovuto sopportare lei!).

Dunque si riparte per i corridoi della sala parto. Mi rimetto a seguire lo stuolo di medici intorno a mia figlia, fino alla porta di ingresso della terapia intensiva, davanti alla quale per ora mi devo fermare. Devono portare Viviana nella sua “culletta” termica, sedarla completamente e collegare il suo piccolo corpicino di soli 2,6 kg ai tutti i fili e ai macchinari che saranno necessari per la somministrazione dei farmaci e la rilevazione di tutti i parametri vitali.

Stanco e frastornato, mi fermo davanti alla sala d’attesa, dove ci sono i nostri genitori ad aspettare notizie. La tensione è stata altissima per tutti e anche loro, sempre al nostro fianco, hanno l’adrenalina alle stelle e sono in ansia e in attesa di sapere le evoluzioni momento per momento.

Roberta ovviamente è piuttosto debilitata e viene portata in stanza, nel reparto puerperio.

Trascorse circa un paio d’ore con lei, dopo le operazioni necessarie e i passaggi di consegna per il cambio turno, per ora da solo, posso tornare finalmente a trovare Viviana nella sua nuova casa (almeno per un po’ di tempo), il reparto di Terapia Intensiva Neonatale, la famosa TIN. Rimango molto impressionato nel rivederla dentro la sua culletta chiusa, intubata e attaccata a tutti quei fili, rimango impressionato da tutti i suoni provenienti dai macchinari di tutte la varie culle adiacenti (la sua come quelle degli altri bambini ricoverati), ma soprattutto rimango impressionato nel vederla completamente sedata e immobilizzata, come già in realtà sapevamo, a causa del curaro, il farmaco che le “paralizza” totalmente i muscoli. Non era certo la stessa visione di poche ore prima, ma ahimè, si doveva necessariamente  passare da quella fase e sperare che da quel momento tutto procedesse per il meglio. D’altronde per ora Viviana reagiva molto bene, risultava “stabile” e i suoi parametri ventilatori e cardiorespiratori erano più che accettabili.

Il giorno successivo riusciamo finalmente a tornare, insieme a Roberta, a trovare Viviana. Non senza difficoltà, dovute al nostro stato emotivo, pian piano iniziamo a prendere confidenza con il reparto e la fantastica squadra di dottori e infermieri che compone la TIN.

Iniziamo anche nel frattempo, nel rispetto reciproco delle situazioni personali di ognuno, a conoscere tanti altri genitori, che per un motivo o per l’altro si trovano come noi in balìa di una situazione più grande di loro.

Man mano che i giorni e le settimane passeranno, ci renderemo poi conto sempre di più, che la “sfortuna” che in circa un caso ogni 3.000 colpisce un bambino di ernia diaframmatica, è fatta anche di molti altri casi che, attraverso tante altre patologie di svariata natura (uno ogni 1.000, 10.000 o 100.000 casi…), colpiscono tanti altri bambini e le loro famiglie. Certo questo non placa la nostra sofferenza e la nostra ansia, ma ci aiuta a capire e apprezzare ancora di più ogni secondo vissuto con lei e tante altre piccole banalità legate all’arrivo di un figlio, che generalmente forse si danno troppo per scontate. In quel reparto così particolare, la condivisione di tanta sofferenza insieme ad altri genitori e la felicità  di piccole conquiste anche per i miglioramenti degli altri bambini (anche se purtroppo non sempre sarà così..) rende speciale l’ambiente che si crea giorno dopo giorno.

In ogni caso, la prima parte della giornata trascorre tra esami di routine, prelievi, lastre e monitoraggio continuo di questa benedetta stabilità. Nella tarda mattinata, mentre Roberta ed io siamo in TIN, passa il chirurgo, il dott. Torricelli, che ci comunica che, in assenza di altre controindicazioni, il giorno dopo Viviana verrà operata. Ovviamente, pur in stato di logica preoccupazione, siamo “moderatamente” felici della notizia, perché vuol dire che le cose procedono positivamente.

Decidiamo quello stesso giorno di far battezzare Viviana con rito d’urgenza. Nel pomeriggio, intorno alla culletta di Viviana e insieme al parroco della Chiesa dell’ospedale, siamo io, Roberta e i nostri genitori. Il momento è ovviamente molto “intimo” e anche un pò surreale. Non era certo in quelle condizioni che pochi mesi prima avremmo mai immaginato il Battesimo di nostra figlia. Non per questo però si rivela meno intenso, anzi forse proprio per quella situazione cosi particolare, assume una connotazione ancora più profonda.

Giungiamo così a martedì 7 maggio. Dopo interminabili ore di attesa (anche perché purtroppo tutta la mattinata la sala operatoria era impegnata per un caso più urgente del nostro), arriva l’ora fatidica dell’intervento. Alle 16 circa Viviana viene portata in sala operatoria. Roberta ed io, insieme ai nostri parenti più stretti, rimaniamo tutto il tempo dell’intervento nella sala d’attesa del “blocco operatorio”, dietro la gelida porta scorrevole di acciaio che ci separa da lei, in attesa di qualche notizia.

Passate da poco le 19, iniziamo a vedere diversi dottori che escono e iniziano ad anticiparci che l’intervento è appena terminato e che a breve sarebbe arrivato a spiegarci tutto il dott. Torricelli. Il quale infatti alle 19.30 esce finalmente dalla sala operatoria e ci viene incontro. Con un piglio sempre pacato e gentile, ma senza dubbio più serio e preoccupato di quello che immaginassimo, ci dice si che l’intervento è tecnicamente riuscito, ma che purtroppo il “difetto” era ben più grande di quello che ci si potesse aspettare in relazione a tutti gli esami ecografici e alla risonanza magnetica fatti in precedenza e persino rispetto alla lastra effettuata dopo la nascita di Viviana. In sostanza, oltre all’intestino era risalita in torace anche gran parte del colon e della milza, con una difficoltosa riduzione dei visceri erniati, per la compressione esercitata sui visceri stessi dal labbro anteriore del difetto. Era stato inoltre necessario applicare un “patch” di goretex, poiché l’apertura dell’emidiaframma sinistro era decisamente importante.

Insomma il dott. Torricelli ci diceva chiaramente che, riparato chirurgicamente il difetto, era però necessario attendere l’evolversi degli eventi dei giorni successivi per iniziare ad essere “moderatamente ottimisti”.

Pochi minuti dopo vediamo Viviana uscire dalla sala operatoria. I dottori si fermano un attimo per farcela vedere e “salutare”, poi si rimettono immediatamente in marcia per riportarla in TIN e riposizionarla nella sua culletta.

La giornata termina praticamente così, con la consapevolezza di aver aggiunto un tassello importantissimo al nostro “puzzle”, grazie alle mani magiche del dott. Torricelli e di tutto il suo staff, unita però allo sconforto e alla preoccupazione legata a tutte le variabili che sarebbero seguite da quel momento in poi, anche a causa della complessità dell’intervento stesso.

Ovviamente questo per noi, lanciati da tempo in un continuo slancio di “incosciente” ottimismo, rappresentava un serio momento di difficoltà e disorientamento.

Ormai conoscevamo bene le incognite legate alla gravità di questa patologia (anche dopo la riuscita dell’intervento), ma forse non eravamo ancora concretamente preparati ad affrontare tutte le variabili che nella realtà la CDH comporta.

Incognite che segneranno fortemente i difficili giorni seguenti, caratterizzati da un decorso post-operatorio sostanzialmente regolare, accompagnato però da una forte ipertensione arteriosa polmonare e dalla presenza di un importante versamento di liquido ematico all’emitorace sinistro. Le visite di quei giorni infatti, sia del dott. Torricelli, sia del prof. Mosca, direttore del reparto, ci confermano che siamo in presenza di un ernia cosiddetta “severa”, dunque bisognerà attendere ancora del tempo prima di sperare di essere fuori pericolo, almeno tutto il periodo della cosiddetta “luna di miele”.

D’altronde entrambi ci ribadiscono che l’ernia diaframmatica è una patologia “bambino-dipendente”, dunque sia i possibili sviluppi che i tempi di recupero variano da bambino a bambino.

Trascorsi i primi giorni critici, arriviamo a domenica 12 maggio. La giornata inizia in maniera positiva sia per la gioia, seppur molto contenuta, della prima festa della mamma di Roberta, sia perché, con molta cautela, iniziavamo a intravedere qualche lieve miglioramento nelle condizioni di Viviana.

Nel primo pomeriggio però la situazione sembra peggiorare. Innanzitutto si rende necessario effettuare subito un drenaggio per aspirare il liquido in eccesso accumulato nel polmone, ma soprattutto Viviana inizia ad avere seri problemi respiratori. Dai monitor collegati, i parametri di ossigeno risultano alterati e fino alla sera vediamo stringersi e avvicendarsi parecchi medici intorno a lei. Ad un certo punto effettivamente ci confermano che la situazione è critica e stanno valutando come agire. Noi rimaniamo quasi tutto il tempo immobili e impietriti dietro il vetro della TIN e temiamo anche il peggio. Quel peggio che avevamo sentito tante volte che sarebbe potuto accadere, ma che per quanto immaginato, un genitore non è mai pronto ad affrontare.

Iniziamo a pregare, pregare e pregare.

Sicuramente quella giornata ha rappresentato per noi uno dei momenti più duri, con la paura reale, mai così vicina, di perdere la nostra piccola. Paura che, a distanza di tempo, ci verrà confermato essere stata più che giustificata in quel momento…

Al termine della giornata però, ad un certo punto sembra che i parametri inizino a tornare entro livelli accettabili. I medici decidono di provare a staccarla dalla ventilazione oscillatoria ad alta frequenza e passarla alla ventilazione meccanica convenzionale. Viviana inizia a reagire con grande forza e si adatta presto al nuovo respiratore, decisamente meno invasivo del primo. La cosa sembra funzionare! Il giorno seguente la situazione gradatamente si ristabilizza e Viviana torna lentamente a migliorare.

Nel frattempo, nei giorni successivi anche il famoso curaro, la morfina e diversi  altri farmaci che le venivano somministrati, vengono progressivamente ridotti e finalmente Viviana inizia a riaprire gli occhi e muovere pian piano braccia e gambe. E’ davvero molto intenso ed emozionante rivedere di nuovo il suo sguardo che, attraverso quegli occhi così grandi, giorno dopo giorno torna a ritrasmettere quell’espressività che avevamo potuto assaporare solo per pochissimi istanti al momento della nascita.

Intanto migliorano anche le condizioni cliniche e respiratorie e si normalizzano progressivamente le pressioni polmonari. Pochi giorni dopo, il 16 maggio, Viviana viene estubata e assistita dal punto di vista ventilatorio tramite NCPAP fino al 22 maggio, data nella quale finalmente iniziamo a vederla, senza più respiratori o cannule di alcun tipo, iniziare a respirare completamente da sola!

Incominciamo “in silenzio” a pensare che la nostra piccola combattente, che sta compiendo passi da gigante, ce la stia facendo…e la conferma ci viene data dal fatto che venerdì 24 maggio Viviana lascia la terapia intensiva e viene trasferita nella sala mare del reparto di terapia intermedia!!! E’ un altro momento molto bello, accompagnato da un altro evento, quasi scontato in condizioni normali, ma altrettanto “miracoloso” vista tutta la situazione precedente.  Ossia, dopo settimane in cui Roberta continuava costantemente a tirarsi il latte, notti incluse, per non perderlo e metterlo da parte, finalmente può iniziare anche ad allattarla naturalmente al seno e Viviana, accetta subito di buon grado questa nuova condizione! I giorni trascorrono spediti e il 29 maggio c’è l’ultimo cambio di stanza, in quella che Roberta ed io abbiamo ribattezzato reparto pre-dimissioni, l’ultimo step dove “alloggiano” i neonati ricoverati prima di essere presumibilmente rimandati a casa.

Sembra quasi sia subito così, ma poiché la radiografia pre-dimissione del torace mostra una velatura diffusa nel campo polmonare sinistro, nei giorni seguenti si rende necessaria una TAC polmonare che ci allerta parecchio, ma fortunatamente alla fine evidenzia solo una modesta falda di versamento pleurico a ridosso del patch chirurgico, non rilevante ai fini della prognosi finale.

Arriva finalmente il momento tanto atteso e sabato 8 giugno 2013, nel giorno del raduno annuale Fabed, ma anche nel giorno della festa del Sacro Cuore di Maria (come ci ricorderà poi il nostro amico Don Luca, il sacerdote che ci aveva sposato nemmeno un anno prima), Viviana può finalmente uscire dall’ospedale e tornare a casa con mamma e papà!!!!!

Eh si perché proprio Maria, la “nostra Madonnina” che finora non avevo mai citato, l’avevamo pregata tantissimo, non solo durante tutto il nostro cammino in questa incredibile avventura, ma in realtà, addirittura già da prima del concepimento di quella che poi sarebbe diventata Viviana.

Ricordate il viaggio nei primi giorni di settembre 2012, appena accennato all’inizio della storia? E’ stato un bellissimo pellegrinaggio di qualche giorno a Lourdes, del quale sia io che Roberta sentivamo da tempo il bisogno. Giorni nei quali entrambi abbiamo vissuto emozioni straordinarie e riscoperto e rinsaldato con forza una Fede che, forse, negli anni precedenti si era un pò sopita. Giorni nei quali abbiamo ringraziato la Madonna per quello che fino a quel momento ci aveva donato. Giorni nei quali l’abbiamo anche pregata perché ci donasse la grazia di un figlio, che tanto desideravamo in quel momento…

Quello che viene dopo ormai lo sapete già, quando tornati da poco, verso la fine del mese di settembre, scopriamo la bella notizia.

Effettivamente mi rendo conto che a questo punto la si può pensare in tanti modi sull’argomento. Si può essere scettici, affidarsi esclusivamente alla razionalità e pensare che tutto sia frutto di situazioni caratterizzate dalla casualità degli eventi. Oppure si può CREDERE. Credere che ognuno di noi sia frutto del disegno di Dio, in qualsiasi modo Egli decida di manifestarlo e affidarci a Lui, alla Sua volontà, anche se a volte ciò che ci accade risulta difficile da comprendere e accettare.

Durante quest’avventura, in diversi momenti Roberta ed io siamo stati nella condizione di scegliere se agire razionalmente o meno. Forse, in particolar modo, quando ci siamo trovati di fronte ad un bivio molto importante.

Scegliere se interrompere quella gravidanza, ripartire da capo e, superato lo shock, riprovare ad avere un figlio “sano” e senza complicazioni del genere.

Oppure andare avanti, procedere con la grande incognita di quello che sarebbe successo dopo a nostra figlia, ma con la serenità e la consapevolezza che non potevamo essere noi a decidere per una cosa così grande, per quella vita che stava nascendo e che noi non avevamo nessun diritto di spezzare in quel modo. Se poi Dio avesse deciso di chiamarla a Lui, non potevamo essere  certo noi a “stabilirlo” prima del tempo.

Di certo però, questo non vuole essere assolutamente un giudizio per chi, in un contesto analogo ma con uno stato emotivo e una situazione personale differente, ha deciso di intraprendere altre strade.

Noi abbiamo vissuto così tutta la nostra storia d’amore per Viviana e con questo significato ci teniamo a condividerla. Certo, se fosse andata diversamente, forse ora sarebbe stato molto più difficile raccontarla in questi termini. E mi sono chiesto molte volte come avremmo potuto reagire in quel caso. La risposta fortunatamente non la conosco, ma spero davvero che Dio abbia donato la forza della Fede a tutti quei genitori che purtroppo non hanno vissuto il nostro stesso “lieto fine” e che adesso hanno un Angioletto che veglia su di loro da lassù.

Il nostro ringraziamento va a tantissime persone.

In primis ovviamente a tutta la fantastica equipe della Mangiagalli, al nostro “salvatore”, il dott. Torricelli, ma anche a tutti gli altri medici, ginecologi, neonatologi e infermieri che hanno reso possibile tutto ciò e ci consentono di svegliarci tutte le mattine apprezzando immensamente quanto siano belli, solari e pieni di vita i tanti sorrisi che (quasi sempre!) Viviana ci dispensa appena sveglia.

A Letizia e Gianluca, per il loro fondamentale apporto, sostegno, i loro consigli, le loro chiamate e i loro continui messaggi. E anche per la paziente e continua sopportazione per tutti i miei dubbi e domande! Senza di loro, chissà…magari tante cose sarebbero andate diversamente.

Ai nostri genitori, che ci hanno supportati, aiutati e ci sono stati vicini durante tutto il nostro periodo milanese (e non solo).

Ai nostri parenti e amici che non hanno mai mancato, in continuazione, di chiamarci e venire a trovarci anche se lontani da casa.

Adesso Viviana ha compiuto da poco sette mesi e il percorso che ci aspetta d’ora in poi sarà ancora fatto delle tante visite ed esami del follow-up, con qualche incognita legata alla sua patologia che, certo, ci lascia sempre un pò in ansia, ma che affronteremo man mano.

Però indipendentemente da ciò, genitori di bambini affetti da CDH in ogni caso lo si rimane per sempre, portando dentro di sé i postumi di un’avventura che sicuramente avremmo preferito evitare, ma che evidentemente doveva succedere e per certi versi ci ha senza dubbio arricchiti.

La nostra speranza è di riuscire a trasformare tutto ciò in qualcosa di positivo e trasmettere questi valori e queste sensazioni a nostra figlia, perché un giorno capisca davvero che, pur nella sventura, il dono della vita lei lo ha ricevuto due volte.

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