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La storia di Maria Sveva Benedetta

(Raccontata da Mamma Giada)

Sono approdata al sito FABED l’8 gennaio 2009.

Quando alla mia creatura è stata diagnosticata l’ernia diaframmatica i medici mi raccomandarono di non fare nessuna ricerca su internet perché ne sarei rimasta spaventata. Naturalmente la raccomandazione cadde nel nulla.

Io volevo sapere, tutto, e di più. Chiaramente non immaginavo che la patologia fosse così grave. In ospedale, all’ecografia morfologica, mi avevano solo detto che la mia piccola non avrebbe potuto respirare autonomamente alla nascita e che avrebbe dovuto essere aiutata con una ventilazione meccanica. Nient’altro.

Nessuno mi aveva parlato di quel 50% di risultati positivi o negativi che accompagnano i feti affetti da CDH, dell’intervento chirurgico necessario, quando possibile, per sopravvivere.

Ma del resto né io né mio marito avevamo chiesto nulla; la nostra preoccupazione era solo che alla bimba non accadesse niente nella mia pancia.

Dopo l’ecografia al Gaslini tutto era chiarissimo.

Quando uscimmo dall’ambulatorio il mio dolore era accecante; non riuscivo a sopportare neppure l’idea di poter perdere mia figlia.

Rifiutai l’amniocentesi, non pensai neppur lontanamente all’interruzione di gravidanza; volevo solo mia figlia. Ero disperata.

E dire che fino a quell’8 gennaio avevo già così tanto sofferto.

Per me avere un bambino non è mai stata una cosa “normale” o facile o scontata.

Dopo un primo aborto e diversi interventi chirurgici sono riuscita a dare alla luce la mia prima bimba; la gioia più grande della mia vita dopo una gravidanza soffertissima.

Soffro di una patologia rara: l’iperemesi gravidica, che in forma grave (come capita a me) si presenta ad una donna su 10.000.

Così è stato per la prima bimba, così per la seconda.

L’iperemesi è pressoché sconosciuta e bistrattata dai ginecologi; ma vi assicuro che chi ne soffre si trova a dover superare una prova durissima, che perdura fino al parto nei casi peggiori e che a volte porta alla scelta di un aborto terapeutico; io avevo accettato, per avere un secondo figlio, di dover vomitare fino a 20 volte al giorno, tutti i giorni, per mesi; dover essere alimentata con le flebo perché non riuscivo a mangiare, a bere, neppure ad ingoiare la mia saliva; non dormire la notte.

E così, dopo che sono rimasta incinta per la seconda volta, e dopo più di un mese di ospedale – addolorata nel vedere la mia primogenita sconvolta dalla situazione – ebbi la terribile diagnosi di CDH.

Per me il tempo si fermò; era tanto il dolore che non riuscivo più a far nulla; solo a disperarmi. Stavo già male fisicamente, e ora quella pugnalata.

Non riuscivo a vedere nulla di buono, non riuscivo ad essere ottimista, mi sentivo straziata.

Solo l’avere sempre con me mia figlia Anna Rachele mi dava un po’ di forza per andare avanti perché davanti a lei non potevo piangere, dovevo anzi intrattenerla, giocare con lei, cantare, raccontarle storie. Solo a volte crollavo, ma mio marito mi stava sempre accanto.

In quel periodo buio, appena potevo, andavo su internet a cercare.

Cercavo di capire se i bambini salvi avessero una situazione migliore di quella della mia bimba, cercavo di capire soprattutto come le mamme avessero affrontato quell’inferno.

Leggevo sempre e rileggevo tutte le storie pubblicate sul sito FABED e mi ripromettevo che anch’io un giorno avrei raccontato quella della mia piccina; l’avrei fatto, sì, in ogni caso, ma non avrei rivelato il “finale”.

Ero infatti convinta che chi raccontava storie a lieto fine lo facesse in modo “più leggero”, forte del fatto che le cose erano andate bene; io invece volevo raccontare come stavo io, come viveva quest’incubo la mia famiglia; non avrei voluto, neppure, soffermarmi troppo sui dettagli medici e questo perché mi sembrava che i bambini sopravvissuti presentassero sintomi di minor gravità rispetto agli altri.

Per questo continuai a scrivere il mio diario, con l’intenzione un giorno di rilasciare a chi si fosse trovato ad affrontare questa dura prova la testimonianza di come una madre aveva reagito.

Ecco quindi il mio diario, dall’inizio alla fine della gravidanza, con qualche sporadico taglio.

Una cosa, però, che mi ero ripromessa, non posso mantenerla.

Devo dire che Maria Sveva è sopravvissuta e lo devo fare per un motivo: la sua situazione era talmente grave che il suo essere qui oggi ha del miracoloso. Non solo la sua ernia era gravissima (di sinistra sì, ma erano risaliti nel torace tutti gli organi: l’intestino – non solo qualche ansa, ma tutto integralmente – lo stomaco, la milza, un rene, alla fine anche un piccolo pezzo del fegato) ma Maria Sveva è nata prematura ed è sopravvissuta ad un gravissimo distacco di placenta che ha fortemente messo in pericolo anche la mia vita.

Con ciò voglio rimarcare che alle volte, anche quando sembra che non si possa nutrire più alcuna speranza, si sbaglia; anche io ho sbagliato perché mai ho sperato in senso positivo, perché ho sempre vissuto il tutto come una grande e terribile tragedia. Non ho mai visto nel mio futuro un esito favorevole e per questo ho sofferto moltissimo.

11 SETTEMBRE 2008

Sono incinta!

Cosa dire, tanta paura, timori, ansia, gioia, stupore.

Sono alla quinta settimana e prego!!! Vorrei essere graziata e non soffrire come la prima volta.

Questo è (quasi) il mio unico pensiero. Ed è un pensiero non rivolto a me, ma a mia figlia Anna Rachele che devo accudire e curare ogni giorno; che è sempre ogni istante con me e che non deve soffrire questa nuova condizione.

Ad ogni modo vivo giorno per giorno senza eccessive angosce.

Spero che tutto proceda bene, che la gravidanza prosegua…un altro figlio! che emozione incredibile, una grande famiglia!

E’ un sogno che io e Matteo coltiviamo da sempre. Una famiglia con tanti bambini da crescere in armonia. Madonnina aiutami tu!!!

25 SETTEMBRE 2008

Sto male da impazzire! Di nuovo, come con Rachele.

Sono senza parole, vomito tanto, nausea infinita e tristezza. Sì tristezza, perché non posso godermi la gravidanza!

1 OTTOBRE 2008

Non riesco a scrivere nulla di bello in questo periodo. Mi sembra di impazzire dalla sofferenza incredibile che questa malattia comporta. Sto male, troppo male. E non c’è rimedio se non aspettare.

19 OTTOBRE 2008

Sono tornata ieri dall’ospedale dove sono rimasta 15 giorni.

La situazione era molto peggiorata e quindi il ricovero era necessario.

Rachele in queste due settimane è stata un angelo. Si è adattata alla situazione senza pianti e ciò mi ha molto rincuorato perché la mia più grande ansia era proprio quella di allontanarmi da lei. Quando sono tornata era pazza di gioia ed io più di lei.

Ora però non voglio più tornare in ospedale e così mi sono attrezzata con le flebo in casa. Ora attendo Matteo, questa sera facciamo una festicciola per i 2 anni di Rachele.

22 OTTOBRE 2008

Tanta tanta tanta nausea.

È una costante. Sono passati solo tre giorni dall’ultima volta che ho scritto e mi sembra passata un’eternità; il tempo non scorre…sto sempre in casa in balia di un malessere costante che non mi lascia nemmeno di notte; spero che questa orrenda situazione si risolva in fretta.

5 NOVEMBRE 2008

In questi giorni dovevo tornare all’ospedale…sono stata combattuta. Poi ho visto Rachele che diceva “mamma non scappa via, mamma è guarita” e allora non me la sono sentita.

Non so se ho fatto bene perché qui a casa sono sempre sola, non riesco a bere e anche fare le flebo è un problema.

8 FEBBRAIO 2009

Il mondo mi è crollato addosso. Un mese fa. Quando ho scoperto che la bimba che aspetto ha una gravissima malformazione. Deve essere operata, ma solo il 50% dei bambini con questo problema ce la fa.

Sono dilaniata dal dolore. Perché immenso è il desiderio di poterla crescere. Vorrei vederla giocare con Rachele, insegnarle a parlare, allattarla, addormentarla, cullarla, vestirla, darle un amore immenso, infinito. Come quello che sento per Rachele e che già sento per lei.

Vorrei tenerla tra le mie braccia, guardarla negli occhi.

Vorrei potesse vivere.

9 FEBBRAIO 2009

Questa mattina controllo a Genova.

Sono piena di ansia e di paura.

Madonnina stammi accanto, proteggi la mia bimba in arrivo.

Quanta paura e quanta tristezza al pensiero che forse questa bambina che vive e scalcia dentro di me potrebbe lasciarci.

11 FEBBRAIO 2009

Sono in casa. Tra poco traslocheremo. C’è un po’ di malinconia in me. Qui ci sono stata 4 anni, anni piuttosto difficili, faticosi.

Non ho goduto molto di questa casa. Purtroppo.

Per un motivo e per l’altro c’è sempre stato qualche problema.

Questa casa la ricorderò. Soprattutto per il momento in cui la sto lasciando. Con gli occhi pieni di lacrime per il terribile dolore che sto affrontando.

E’ come una svolta, un grosso cambiamento.

E questo mi fa ancora più male perché non so cosa mi riserva il futuro.

Mi trovo in un momento difficilissimo.

Quando io e Matteo ci siamo sposati eravamo pieni di entusiasmo, pieni di voglia di vivere, desiderosi di costruire qualcosa di bello, meraviglioso, un progetto d’amore il nostro.

Un progetto di famiglia.

Sognavamo, parlavamo, sognavamo. I figli. Il nostro più grande desiderio nel nostro progetto d’amore.

Poi ci siamo sposati e proprio per la realizzazione di quel sogno abbiamo incontrato le più grandi difficoltà.

L’arrivo di Rachele è stato magico.

Una gravidanza terribile dopo molte difficoltà. Ma finalmente una figlia.

L’amore allo stato puro. L’inizio di un nuovo percorso, l’inizio della realizzazione del nostro sogno.

Dopo neppure due anni un’altra gravidanza. Desiderata, cercata, con la consapevolezza che sarebbe stato di nuovo terribile.

Ed è stato proprio così.

Ora mi sembra di vivere un incubo.

A volte mi sembra di impazzire. Mi sento smarrita, confusa, terrorizzata.

La paura; quanta paura!

La paura è tanto più grande perché infinito è il desiderio di crescere questa piccina. Lei è come Rachele, è l’amore. E’ il nostro sogno d’amore.

E forse il sogno non si realizzerà.

Questi sono mesi lunghissimi, pieni di ansia e di angoscia. Per me è un calvario perché non riesco ad immaginare di poter perdere questa bambina. Ne avrei un dolore infinito. La mia anima diventerebbe cupa, la mia vita cambierebbe.

In questi giorni attraverso mille stati d’animo.

Prego. Prego la Madonna per ottenere una grazia, perché questa bimba possa vivere, con noi, ed essere amata infinitamente.

12 FEBBRAIO 2009

Oggi mi sento disperata. Ho paura, sono piena di sconforto. Mi sento triste.

Vivo questo momento con dolore.

Sento la mia bambina che si muove, scalcia.

Mi sembra impossibile che abbia un problema così grave.

E penso in continuazione. Penso al dolore che avrei se ci lasciasse. Il solo pensiero ora mi distrugge. Mi sento debole e sola.

Vorrei solo la mia bambina.

Tutti dicono che sono coraggiosa. Ma di cosa? Che coraggio ci vuole a desiderare l’amore. Mi sento afflitta, impotente. Non riesco in alcun modo a trovare forza dentro di me. Vado avanti ogni giorno portandomi dietro una tristezza ed un logorio continuo.

15 FEBBRAIO 2009

Questa mattina ho guardato il suo visino sulla foto dell’ecografia.

Mi si spezza il cuore.

Soffro. Tantissimo. Al pensiero di quante coppie hanno perso i loro piccoli. Partecipo al loro dolore, lo sento mio, mi fa piangere, sento un’angoscia tremenda.

Non mi sento diversa dagli altri e per questo penso che mi possa capitare qualsiasi cosa, anche terribile.

Ma prego, prego, prego e spero che la mia bambina viva.

18 FEBBRAIO 2009

Mi sento impotente, inutile, fragile, disarmata, disperata.

Mi sconvolgono le percentuali, non c’è nulla che mi rassicuri.

Bisogna solo attendere.

Da un lato vorrei che questi due mesi che mi separano dal parto volassero via veloci. Dall’altro temo il passare di questo tempo perché la mia bambina ora è con me e lo sarà fino a che resterà nella mia pancia. Ma poi. Non so.

31 MARZO 2009

Ringrazio mia figlia Rachele. E’ così tenera, bisognosa d’amore e cucciola che nonostante il mio stato d’animo mi costringe a cantare, raccontare storie tutto il giorno. La ringrazio perché ciò fa bene alla sua sorellina che gira, balla nella pancia e – forse – non sente tutta l’ansia e la disperazione.

9 APRILE 2009

Oggi sono stata ricoverata al Gaslini.

Siamo 4 in camera. Ovviamente mi sento la più sfigata del mondo. Sono tutte mamme in attesa. Un’attesa magari ansiosa, ma tranquilla. Vedono nel futuro i loro bambini; sanno che li avranno, li terranno tra le loro braccia. Io mi sento morire qua dentro perché so che potrei non avere il medesimo futuro. Quanta sofferenza. Desidero la mia bambina, con tutta me stessa. Ho le lacrime che scendono dietro agli occhi, lacrime nel cuore. Devo anche stare lontana da Rachele per parecchio tempo.

11 APRILE 2009

Soffro nel sapere che la mia bimba ha un gravissimo problema, che appena nata non potrà essere coccolata dalle mie braccia, non potrà dormicchiare nella cullina.

La mia vicina di letto mi ha detto che questa è la scelta più coraggiosa della mia vita. Ma dov’è questo coraggio? Io non sono coraggiosa. Io desidero solo amare e crescere Sveva.

14 APRILE 2009

Oggi Matteo mi doveva raggiungere con la mia piccola Rachele, ma un incidente sull’autostrada li ha bloccati e si sono girati indietro. Ero così felice di vederla dopo 7 giorni. Anche lei era emozionata. Sono così depressa. Mi hanno anche cambiata di stanza. La mia vicina è da due ore che parla col marito di nomi, di lettini, di corredino, di cosa faranno quando le loro gemelle avranno 4 anni!!!

Ed io non so se avrò la mia piccola. Per questo sono disperata e tutto questo contorno qui in ospedale mi sembra un supplizio tremendo.

28 APRILE 2009

il 20 APRILE 2009 alle 19.53 è nata MARIA SVEVA BENEDETTA!

Devo raccontare la storia della sua nascita e queste due ultime settimane perché gli eventi si sono succeduti in modo molto diverso da quanto programmato e del tutto imprevedibili.

Il 15 aprile Matteo e Rachele mi hanno raggiunto a Genova.

Da subito le cose si sono complicate perché Rachele soffriva nel vedermi nuovamente in ospedale. Ha chiuso le manine ed è rimasta con i pugnetti chiusi per tutto questo tempo, rifiutandosi di aprirli anche per mangiare.

Molto addolorata da questa situazione e vedendo le oggettive difficoltà di Matteo ho deciso di farmi dimettere qualche giorno per poter stare con loro pur sentendomi malissimo.

Non sono stati giorni facili. Rachele era davvero insofferente.

Ad ogni modo il mio parto era stato programmato. Il 27 aprile avrei dovuto partorire nella sala di cardiochirurgia, adiacente la rianimazione, per consentire il miglior intervento e la miglior assistenza possibile alla piccolina che era gravissima.

Lunedì 20 aprile, dopo una giornata in cui mi sentivo molto provata decidiamo di non cenare in albergo ma di portare Rachele a mangiare un gelato.

Ci dirigiamo all’Acquario – ore 18.30 pieno traffico. Nel percorso sento un dolore lancinante ma non ci do’ il giusto peso.

Dopo mezz’ora di coda arriviamo all’acquario ma come scendo dall’auto mi rendo conto di perdere molto sangue.

Risalgo in macchina, dico a Matteo di condurmi in ospedale. Cerchiamo di restare calmi, con noi c’è Rachele, ma per scansare il traffico Matteo è costretto a suonare il claxon ed a percorrere quel tragitto (parecchi chilometri) quasi totalmente in contromano.

Arriviamo. Dico a Teo di portare Rachele a prendere un gelato. Posso fare da sola, per il bene di mia figlia che ha già troppo sofferto.

Salgo in ginecologia al 5° piano. Mi presento al medico di guardia e mi accorgo che visitandomi sbianca letteralmente.

Inizia ad urlare, chiama tutto il personale, chiede sangue urgente, dice di preparare la sala per una grave emergenza.

In pochi minuti sono in barella.

Mi preparano per il taglio cesareo. Chiedo se la bimba è viva, se io rischio qualcosa.

Mi dicono che stiamo rischiando entrambe la vita. Ho un’emorragia massiva, ma il cuore di Sveva batte.

Chiedo l’anestesia spinale. Ho paura di non svegliarmi più. Penso a Matteo, a Rachele. Dicono che si può fare e mi sento più rilassata.

Posso restare vigile. Mi rendo conto – e mi sembra quasi impossibile – di non aver mai perso la calma, nemmeno per un minuto. Scendo in sala.

L’anestesista è brava, mi addormenta le gambe in un attimo. Due ginecologi stanno per tagliare, sta per nascere mia figlia. Sono arrivati tutti i rianimatori per lei. Ho paura. Ecco è nata. Piange. Piange tanto.

Guardo interrogativa la dott.ssa De Biasio che mi ha accompagnata.

Ho molta paura. Sento i rianimatori che parlano di ossigeno a 100! So che non è un bel segno. Dopo pochi istanti portano via Sveva.

Cercano di farmela vedere, ma mi hanno rotto gli occhiali. Mi limito ad osservare la culla.

Ora penso che percorreranno quei tunnel sotterranei che avrebbero dovuto evitare facendomi partorire vicino alla rianimazione, ma così non è stato.

Mi stanno cucendo ma impiegano troppo tempo. Chiedo spiegazioni più volte.

Dal telo verde si affaccia il medico e mi dice che hanno avuto un problema.

Vedo l’anestesista che mi inietta qualcosa nel braccio. E capisco che mi sarei addormentata, che quella è la prassi per l’anestesia totale.

In quell’istante mi sono abbandonata, non avevo paura. E poi Dio ha voluto che mi risvegliassi.

Ho visto tanti medici attorno a me. Durante il taglio cesareo mi è stata tagliata la vescica da parte a parte. E così ho subito l’intervento di ricostruzione.

Ecco Matteo, sono sveglia. Mi tengono in una stanza buia. Chiedo di Rachele e finalmente ho il coraggio di chiedere di Sveva. Matteo sa che è viva e null’altro.

Passo la notte cercando di controllarmi. Prego tantissimo. Mi viene in mente che correndo all’ospedale ho visto sul Gaslini uno splendido arcobaleno. E poi alcuni giorni prima ho visto due cicogne. Sono pensieri strani, ma consolatori. Arriva il mattino.

Maria Sveva il 22 aprile è stata battezzata e poi operata.

La sua ernia era davvero gravissima e le chances di sopravvivenza attorno al 10%.

Alla nascita il punteggio APGAR era 1,2,0. In torace erano erniati tutti gli organi: lo stomaco, l’intestino tenue e crasso, la milza, un rene, una parte del fegato. La piccola è nata prematura, in emergenza. Ha avuto subito dopo la nascita un grosso versamento pleurico, il pneumotorace, il pneumomediastino.

Ma è sopravvissuta, miracolosamente. E anche io.

Dopo poco più di un mese l’abbiamo portata a casa, strabiliati. Tutti, anche i medici erano sconcertati. Maria Sveva è una bambina fortissima e la nostra famiglia ha ricevuto un regalo dal cielo.

Durante la gravidanza pregavo, pregavo tantissimo.

Il fatto di essere già mamma mi ha impedito di impazzire; ma proprio la consapevolezza dell’amore materno ha reso la sofferenza, a mio parere, ancora più grande.

I giorni non passavano mai, sempre più dolorosi e difficili.

Sono rimasta ricoverata al Gaslini – reparto Ginecologia – per 42 giorni, sempre sola con mille difficoltà, sempre – ancora prima di partorire – con puerpere felici.

Ringrazio la sensibilità dell’infermiera Daniela che ha compreso il mio dolore e mi ha cambiato, prima del parto, per ben 4 volte la camera da letto.

Il periodo della rianimazione e della chirurgia di Sveva li ha affrontati con grande amore mio marito Matteo, poiché io ero bloccata al reparto a causa del catetere.

Ora, a distanza di più di due anni ricordo ancora come se fosse oggi l’angoscia dell’attesa, i pianti, la disperazione, la nascita inaspettata, il periodo in ospedale come troppo doloroso in senso psicologico (soprattutto per me), e il grande miracolo di Dio. Sveva è sopravvissuta, io sono sopravvissuta.

Dal giorno della diagnosi, l’8 gennaio 2009, la paura non mi ha mai abbandonata.

Sono sempre, ancora, pensierosa. Temo tutto, ho maturato un’ansia spaventosa nei confronti delle mie figlie, e nei miei confronti.

Non sono più riuscita a vivere serenamente nonostante la nostra storia abbia avuto un esito felice.

Sono profondamente cambiata.

Certo, guardo le mie due bambine e sento il mio cuore inondarsi d’amore; di tutto quell’infinto amore che speravo di poter dare alle mie figlie.

Sono stata esaudita.

E così ho fatto fino ad oggi. Incessantemente mi sono occupata di loro; non sono più tornata a lavorare, le ho accudite, amate, guardate, osservate, felicemente, con un’intensità incredibile, vivendo ogni giorno con una pienezza che molto spesso non c’è e ringraziando ogni giorno la Madonna che ho pregato infinitamente e che mi è sempre rimasta accanto.

Sveva è bellissima, fortissima, simpatica, dolce, caparbia, testarda. Una bambina normale. Una bambina speciale.

Il ricordo della sua storia difficile è scritto sulla sua pelle.

Per me è scritto nella mia anima e non mi abbandonerà mai.

Maria Sveva Benedetta a 18 mesi

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